n. 19 (30/01/2017)
“Il vino nuovo della pubblica amministrazione”
Parlando di “posto”, generalmente siamo portati ad indentificarlo con il “posto pubblico”, cioè quello alle dipendenze di uno qualsiasi delle migliaia di enti pubblici (nella più ampia accezione possibile), di cui è particolarmente ricca la nostra repubblichetta. Straordinariamente diffusa è la mitologia, arricchitasi di tanti dettagli nel corso di decine di anni, intorno ai tanti benefici di cui godono gli stipendiati pubblici, tanto che tutti quelli che il posto pubblico non lo ricoprono giungono, sospirando, alla solita conclusione: “beato te che hai il posto fisso!”.
Chi scrive è uno degli ancora tanti dipendenti pubblici, uno di quelli che ha il posto fisso e al 27 di ogni mese prende lo stipendio pagatogli da un ente comunale. Di conseguenza, io conosco veramente come stanno le cose, perché le vivo ogni giorno; e, mutatis mutandis, immagino che ciò che accade nel comune dove lavoro io, grosso modo accada in qualsiasi altro ente pubblico (di qualsiasi specie e livello) d’Italia.
Innanzitutto, sfatiamo una credenza tanto diffusa quanto inesatta: non è vero che con lo stipendio di dipendente pubblico si diventa ricchi, né tanto meno si può vivere in maniera dispendiosa. È vero che lo stipendio è fisso, ma lo è anche nel senso che sono almeno una decina di anni che è fermo a quella precisa cifra, mentre il costo della vita dal 2006 ad oggi è quasi raddoppiato. Nel 2006, durante il fine settimana, in determinati distributori di benzina, si riusciva a pagare un litro di diesel anche meno di un euro. In dieci anni, quello stesso litro è arrivato a costare poco sotto i due euro! In altre parole: lo stipendio è rimasto tristemente lo stesso, mentre i prezzi sono pressocché raddoppiati. Solo che questo nessuno lo dice mai.
Altra falsa credenza: negli uffici pubblici nessuno fa niente. Si tratta di un’affermazione che va per lo meno ridimensionata, dal momento che, se davvero nessuno facesse niente, l’Italia si sarebbe da tempo fermata. Infatti, se qualcosa ancora continua a funzionare è perché c’è uno sparuto manipolo di “eroi”, che per quattro soldi e magari andando anche contro gli interessi di parte dei loro dirigenti superpagati, ogni giorno abbraccia la sua croce e fa il suo lavoro.
Un’altra cosa, che trasversalmente i politicanti hanno sostenuto fino a convincere il popolo di pecoroni che rappresentano, è che gli enti pubblici costano troppo, e quindi bisogna tagliarli e privatizzare tutto. Destra (soprattutto), ma anche la sinistra hanno ripetuto il mantra della “privatizzazione” fino a distruggere definitivamente quegli enti che loro stessi hanno creato per sistemarci dentro gli amici, le amanti, i compari e i figli.
Tuttavia, è sotto gli occhi di tutti che la privatizzazione è stata un bene solo per gli amici degli amici che si sono arricchiti, facendo definitivamente affossare quei servizi che prima già avevano un funzionamento precario. E di esempi ce ne sono tanti: i trasporti, i servizi telefonici, quelli del gas, dell’acqua… Per non parlare della sanità o dell’istruzione…
Altro mantra ciclicamente sbandierato come la salvezza di tutto il sistema: l’abolizione delle province. Prescindendo dal fatto che più lo si dice e sempre meno lo si fa (le province sono sempre lì, con tutti i loro dipendenti, e soprattutto la rappresentanza politica), qual è il vantaggio di toglierle? Quelli che ci lavorano passerebbero a lavorare per regioni e/o comuni o altri enti (e quindi dovrebbero essere comunque pagati); la parte politica non viene nemmeno più eletta, ma scelta tra i rappresentanti dei comuni. Quindi, il vantaggio dove sta? E, poi, vogliamo tagliare le province, ma poi lasciamo una marea di enti utili quanto un mal di denti (un esempio su tutti, le comunità montane), o enti assolutamente dannosi (per esempio le regioni, vere mostruosità buone solo per inauditi sprechi di denaro).
Il punto è semmai un altro. Considerato che oggi un po’ per legge (vedi l’autocertificazione e la deburocratizzazione), un po’ per il progresso tecnologico (almeno nei comuni più progrediti, i cittadini possono interfacciarsi con gli uffici direttamente da casa, via internet), non c’è più la necessità di tanta gente a lavorare nei comuni, o comunque negli enti pubblici, bisognerebbe sedersi a tavolino e stabilire cosa fa e cosa non fa la pubblica amministrazione. E una volta stabiliti i compiti che l’apparato pubblico deve adempiere, dotarsi di un numero adeguato di personale adeguatamente preparato per quelle mansioni.
Ovviamente queste sono scelte “politiche”. E ce li vedete voi quei buoni a nulla dei nostri parlamentari a fare una riforma – questa sì veramente epocale? Siamo seri: dall’Unità di Italia ad oggi, la pubblica amministrazione (ripeto ad ogni livello e di ogni settore) è stata né più né meno che il refugium peccatorum, per tanti amici, amanti, figli e compari, che sono stati invitati a partecipare alla spartizione del denaro pubblico, senza preoccuparsi troppo di doveri e compiti. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Le varie riforme succedutesi dai primi anni Novanta fino ad oggi, sono la palese contraddizione di una saggia riflessione di Gesù, ricordataci da Marco (2, 21-22): «Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».
Abbiamo sentito parlare migliaia di volte di “trasparenza”, “economicità”, “efficacia”. Ma quale trasparenza vedete voi in un paese dove spesso e volentieri i superpagatissimi posti dirigenziali vengono affidati per scelta personale del sindaco o del presidente di turno, senza un bando di concorso? Quale economicità si può scorgere laddove approvando un bilancio si dirottano fondi su opere assolutamente inutili e impossibili come il ponte sullo stretto di Messina, senza tener conto che le strade che dovrebbero condurre al fantomatico ponte sono più pericolose della pista che i cowboy facevano attraversando il Gran Canyon? Quale efficacia c’è in una pubblica amministrazione che prima finge di raccogliere le lamentele del popolo circa la sicurezza e poi piuttosto che mettere un po’ più di poliziotti in strada, li manda a fare da autisti a prefetti e ministri, oppure allo stadio a sorvegliare i tifosi? Ma che se le guidino da soli le loro auto blu i ministri, e che si giochino a porte chiuse le partite!
Ma niente paura, i nostri esilaranti politici (nostri degni rappresentanti) da tempo hanno trovato la soluzione a tutto il problema: fare riforme che restano solo sulla carta, incolpando di questo i dipendenti fannulloni (ma, in effetti, di fannulloni ce ne sono tanti, basti pensare ai ricorrenti scandali di chi timbra il cartellino e se ne va poi in giro per i fatti suoi). Tuttavia, dimenticano un piccolo dettaglio: i fannulloni che oggi si vogliono gettare in pasto ai leoni, il posto lo hanno preso proprio grazie a quei politicanti che adesso, non sapendo più a chi addossare le colpe, se la prendono con i loro amici, amanti, figli, compari.
Vincenzo Ruggiero Perrino