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L’ARCIVESCOVO MONS. VINCENZO PAGLIA BATTEZZA AD ARPINO 2 GEMELLINI.

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IL 6 GENNAIO 2018 AD ARPINO 2 BAMBINI HANNO RICEVUTO IL BATTESIMO, PER MANO DELL’ARCIVESCOVO MONS. VINCENZO PAGLIA.

Nel giorno in cui è stato battezzato Gesù e anche Papa Francesco battezza in Vaticano i bambini, la città di Arpino e precisamente la Parrocchia Santa Maria di Civita, ha ospitato l’Arcivescovo Mons. Vincenzo Paglia, è stato lui a battezzare i due gemellini, figli della nipote, Dott. ssa Alessia Savo e del Dottore Commercialista Mauro Visca.

Il Parroco, Don Antonio Di Lorenzo, nel saluto prima della Santa Messa, ha sottolineato l’importanza dell’evento, ricordando che Mons. Paglia è nativo di Boville Ernica e che ricopre vari e delicati incarichi a livello nazionale ed internazionale, ricordandone alcuni.

Nell’Omelia Mons. Paglia ha voluto ricordare che: ”…come quando Gesù si immerse nel Giordano, anche per i nuovi battezzati, i cieli si apriranno e una colomba scenderà su di loro. Il mistero non si vede ma la narrazione ci chiede di comprendere che oggi davvero si apriranno i cieli e che davvero su Maria Letizia e Tommaso si poserà lo Spirito Santo come una colomba. E’ il miracolo del Battesimo, dobbiamo ricordare anche quello di ognuno di noi, per tutti è stato un regalo enorme! Oggi e per sempre, questi bambini saranno amati da Dio gratuitamente. Non dimentichiamo mai che questo amore ”gratuito” ci è stato donato con il Battesimo. E come il Signore ci da amore gratuitamente, così dobbiamo fare anche noi con tutti, ci è stato insegnato che dobbiamo amare gli altri prima di amare noi stessi! Cari genitori, dovete insegnare ai vostri figli ad ascoltare il Vangelo, fin da piccoli, come gli insegnerete a parlare, se i piccoli non ascoltano il Vangelo, cresceranno come in un deserto crescono le sterpaglie, le durezze, gli odi e i conflitti. Avete il grande compito accudirli fisicamente, ma soprattutto nello spirito e nel cuore, con il pane quotidiano della parola del Vangelo portandoli a messa fin da piccoli, dopo potrebbe essere troppo tardi. L’amore gratuito si deve apprendere da bambini o sarà troppo tardi. Gettate un seme nel loro cuore di bambini!”.

Mons. Paglia è nato a Boville Ernica il 20 Aprile 1945 e dopo anni di studio è stato ordinato Presbitero il 15 Marzo 1970 e nominato Vescovo da Giovanni Paolo II il 4 Marzo 2000 e consacrato il 4 Aprile dello stesso anno dal Cardinale Camillo Ruini. Elevato ad Arcivescovo il 26 Giugno 2012 da Papa Benedetto XVI. Attualmente è PRESIDENTE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA e GRAN CANCELLIERE DEL PONTIFICO ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II. Ma questo è solo uno dei suoi tanti incarichi ricevuti negli anni, in quanto grande è stato il suo impegno fin da sempre nel sociale e soprattutto come ”mediatore” tra la Santa Sede e tante Nazioni ”difficili” da trattare, come ad esempio la Romania, infatti è stato anche grazie a lui se il Papa ha potuto portare a temine il suo viaggio in quella terra, ed è stato il primo paese ortodosso visitato da un Papa.

Importante è anche il suo impegno sul dialogo tra credenti e laici.

Oltre ai tanti titoli ecclesiastici, Mons. Paglia è anche iscritto all’albo dei giornalisti nella Regione Lazio, e collabora con tante testate giornalistiche, portando alla luce temi a volte anche scottanti, come la morte assistita, argomento trattato in uno dei suoi ultimi libri.

Gli arpinati sperano di rivedere presto Mons. Vincenzo Paglia ad Arpino, magari nella presentazione di uno dei suoi libri.

 

Arpino, 09 Gennaio 2018

Gianna Reale

 

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La Sacra Famiglia di Nazaret

SACRA FAMIGLIA di Vincenzo Ruggiero Perrino – Episodio 20

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 20

Sepphoris, anno 1 a. C.

Gesù ha appena finito di prepararsi per uscire e raggiungere il padre a Sepphoris. Il programma della giornata prevede che lui e suo cugino Giovanni andranno a Sepphoris; passeranno le ore pomeridiane dai nonni; e, quando sarà ora di tornare a Nazareth, faranno la strada del ritorno con Giuseppe, che nel frattempo avrà finito di lavorare al cantiere.

Giovanni giunge puntuale e insieme cominciano a percorrere la strada per la cittadina in ricostruzione.

«Mi fa piacere andare a Sepphoris», comincia a dire Giovanni.

«Perché?».

«Rispetto a Nazareth è una grande città. C’è tanta gente, e sicuramente potremo incontrare nuovi amici. Cioè, di sicuro non ci annoieremo».

«A Nazareth ti annoi?».

«Beh, converrai che come città Sepphoris è più grande e più bella».

«Sì, ma io ti ho chiesto se a Nazareth ti annoi».

«A volte sì: vediamo sempre le stesse persone, facciamo sempre le stesse cose, ripetiamo sempre gli stessi discorsi».

«Le persone non sono mai le stesse ogni volta che le vedi e ci parli, né ripetono sempre le stesse cose, e anche quando fanno gli stessi discorsi, bisogna cogliere sempre la verità in ciò che dicono…».

«Dici?».

«Dico, dico! E, poi, se tu guardi con occhi nuovi tutto ciò che accade e ognuno che incontri, non ti annoi né a Nazareth, né a Sepphoris, né ad Atene!».

«Ma di sicuro a Nazareth non c’è il via vai di gente che c’è a Sepphoris. Lì c’è più possibilità di conoscere gente nuova».

«Intanto, dovremmo imparare a conoscere sempre tutte le persone, quelle nuove e quelle che ci sono già familiari… Ricorda, Giovanni, non si finisce mai di imparare».

Cammina cammina, finalmente i due giungono a Sepphoris.

«Che facciamo? Andiamo direttamente dai tuoi nonni, o ci facciamo prima un giro in città e magari mangiamo qualcosa?», chiede Giovanni.

«Credo che a quest’ora nonno Gioacchino stia ancora a lavorare nei campi. Mangiare qualcosa è un’ottima idea, visto che ho una fame da lupi!», risponde l’altro mettendosi a ridere.

Così, i due cugini giungono nel cuore di Sepphoris, dove ci sono tutti gli uffici amministrativi dei romani, le botteghe più belle, e una tale confusione di persone, carri, mercanti, che c’è quasi da rimanerne storditi.

«Mamma mia, quanta gente!», esclama Giovanni quasi incredulo.

In quel momento una biga trainata da un cavallo passa rumorosamente accanto ai due ragazzi. Gesù se ne accorge in tempo e tira per un braccio Giovanni, in modo da evitare che finisca per terra urtato dall’animale in corsa.

«Per poco, quella biga non mi travolgeva!», commenta Giovanni.

«Bisogna stare attenti… Del resto, lo hai detto stesso tu che Sepphoris non è Nazareth…», gli fa notare Gesù.

«Già».

I due gironzolano per un po’, restando sorpresi, ma anche frastornati dai rumori delle strade e dal continuo vociare della gente di Sepphoris. Finalmente, trovano una bottega dove si vendono focacce. Entrano e notano che anche nella locanda ci sono tanti avventori. Comprano una focaccia ciascuno e vanno a sedersi negli unici due posti liberi che trovano, quasi vicino al banco del venditore e di fianco ad un altro ragazzo che sta lì a mangiare da solo.

«Possiamo sederci vicino a te per mangiare?», chiede Gesù rivolgendosi al ragazzo, che, ad occhio e croce, dimostra qualche anno in più rispetto a loro.

«Ce mancasse pure, accomodatevi!», risponde l’altro, con un accento sconosciuto ai due.

«Ma tu non sei giudeo!», nota Giovanni, con un misto di sorpresa e sospetto.

«Che bella scuperta!», replica quello, continuando a mangiare.

«Di dove sei?», domanda ancora Gesù.

«I’ vengo ‘a nu posto luntano assaje: ‘na bellissima città d’ ‘a Magna Grecia, che se chiamma Neapolis … Forse n’avite ‘ntiso parl’, quacche vvota…».

«Caspita! Sei veramente venuto dall’altra parte della terra! E come mai ti trovi qui?».

«Patemo è ‘o segretario ‘e n’ommo assaje importante, che s’è trasferito cca pe’ cierte affare suoie, e m’ha purtato cu’ isso. Però i’ cca nun ce voglio sta’, e vulesse turna’ a casa mia, add’ ‘e cumpagne mie e add’ ‘a gente che parla ‘a stessa lengua mia!».

«Infatti, parli una lingua molto particolare… sembra quasi che canti quando parli!», dice Giovanni, non più sospettoso verso il ragazzo straniero.

«Lingua a parte, sei un tipo simpatico. Io mi chiamo Gesù e questo è mio cugino Giovanni!».

«Piacere, i’ so’ Cyrus», si presenta il ragazzo, ufficializzando la nuova amicizia con sorrisi e pacche sulle spalle.

«Buone ‘ste focacce!», esclama Giovanni, ottenendo il consenso degli altri due.

Intanto, dietro al bancone il cameriere, che, rallentato un po’ l’afflusso di clienti, ha cominciato a dare una pulita con uno straccio, comincia a dare segni di nervosismo. I ragazzi, sulle prime, non danno peso alla cosa, pensando che probabilmente quello dev’essere agitato perché la locanda è piena e quindi deve sgobbare un bel po’. Perciò, continuano a parlare del più e del meno: Gesù e Giovanni chiedono al loro nuovo amico notizie della sua città di origine, e l’altro si informa su cosa fanno i ragazzi di quella regione.

Ad un certo punto, i tre ragazzi e anche altri avventori della locanda si voltano tutti a guardare il cameriere che, a voce alta – quasi gridando – chiama il padrone.

«Che diamine gridi, stupido?», gli urla a sua volta il padrone, uscendo dalla cucina, vestito con una specie di grembiule che più sporco non si può.

«Padrone, è successa una cosa!».

«Cosa? Bada che, se è una delle tue solite manfrine per non lavorare, ti prendo a calci fino a domani!», lo avverte, assumendo poi una posa a braccia conserte, aspettando che l’altro gli spieghi cosa è accaduto.

«Ti ricordi la statuina in onore della tua defunta nonna?».

«Certo che me la ricordo, cretino!».

«Beh, non la trovo più!».

«Cosa?».

«Non c’è più, guarda tu stesso…», continua il cameriere, indicando la mensola che sta alle spalle di Gesù, Giovanni e Cyrus.

Mentre il padrone ispeziona il ripiano dal quale manca la statuina votiva, il cameriere rincara la dose: «Forse l’hanno presa questi ragazzini per rivenderla!».

Il padrone si volge di scatto verso il trio e sbraitando prende ad interrogarli se siano stati loro a far sparire la statuina.

«Avete preso voi la statuina della mia cara nonna?».

Risponde Giovanni: «Noi non abbiamo preso un bel niente!».

Gli fa eco Cyrus: «Vuje date retta a chillo? Nun simmo mariuole, stammo sulo magnanno e parlammo tra nuje!».

Interviene il servo: «Padrone non ascoltarli! Sono forestieri… probabilmente non hanno i soldi per  pagare e hanno rubato la statuina per rivenderla e pagarti le focacce!».

«Che scemenze so’ cheste?», chiede Cyrus, offeso per le accuse.

«Specie quello lì… non senti che parlata strana ha? Sicuramente è stato lui a rubare la tua statuina!».

«È vero! Tu non sei giudeo… Fammi vedere nella tua borsa!».

«Nun ce penzo proprio!».

«Di sicuro ha nascosto la statuina lì dentro! Chiama subito le guardie e falli arrestare!», seguita a dire il cameriere.

Al che, nonostante anche Giovanni cerchi di impedirglielo, il padrone strappa a Cyrus la sacca, e comincia a frugare dentro. Nella sala c’è un gran mormorio, e gli occhi di tutti gli avventori sono sui ragazzi.

Intanto Gesù, alzatosi in piedi, da uno sguardo alla mensola e sul pavimento tutto intorno, anche dietro al bancone dove il cameriere serve i clienti, accorgendosi che per terra c’è un pezzo di terracotta, che prontamente raccoglie.

«Qui non c’è niente!», esclama deluso il padrone dopo aver svuotato la borsa del ragazzo.

«Per forza!», replica Gesù. Tutti nella sala volgono gli occhi verso di lui.

«Perché dici “per forza”?», chiede il padrone.

«Tu hai creduto che noi avessimo rubato la statuina votiva della tua nonna, solo perché il tuo servitore ci ha accusati. Non hai manco voluto sentire le nostre spiegazioni e hai, anzi, ispezionato la borsa di Cyrus. Hai pensato: “È uno straniero, dev’essere per forza colpevole!”. Ma guarda qui cos’ho trovato!», spiega il ragazzo con voce severa, mostrando a tutti il pezzetto di terracotta che ha trovato.

Il padrone gli prendere dalle mani quel frammento, lo guarda ed esclama: «Questo è un pezzo della statuina! Dove lo hai trovato, ragazzo mio?».

«Fino a due minuti fa ero un ladro e ora mi chiami “ragazzo mio”? Comunque, quel pezzo era sul pavimento proprio sotto il bancone dove lavora il tuo cameriere…».

Il padrone si volge al cameriere e gli dice: «Hai fatto rompere la statuina di mia nonna e hai provato a dare la colpa a questi ragazzi?».

«Padrone, stavo pulendo… è stato un incidente…», ma non fa manco in tempo a finire la frase, che l’altro comincia a rincorrerlo per tutta la sala, prendendolo a calci davanti a tutti e cacciandolo fuori tra le risate degli avventori.

«Grazie, Gesù, si’ riuscito a’ evita’ che i’ fosse accusato ingiustamente», dice Cyrus.

«Di niente, amico mio… Io penso che la verità in un modo o nell’altro viene sempre fuori, per quanto uno voglia nascondersi o mascherarsi…».

«Già», chiosa Giovanni.

«È proprio ‘o vero. ê pparte mie ce sta nu pruverbio che dice: “Mariuliggine e puttaniggine, crepa ‘a terra e ‘o dice!”».

«E che significa?», chiede Giovanni che non ha capito.

«Chiù o meno che tutt’ ‘e malazione, pe’ quanto se vonno annasconnere, pure ‘a terra s’arape e ‘e conta a tuttu quante».

«Infatti, quando un tempo si dovrà lodare Dio per tutto quanto avrà fatto, se anche gli uomini dovessero tacere, saranno le pietre a gridare…», dice Gesù.

«Nun aggio capito…», gli fa Cyrus un po’ perplesso.

«Non ti preoccupare per ora: tutto ti sarà più chiaro tra una trentina di anni…», conclude quello, facendo sorridere il cugino.

Sulle prime Cyrus mostra di non capire, ma nel vedere Giovanni che annuisce, anche lui sorride. Poi, tutti e tre insieme escono, si salutano, e prendono le rispettive strade.

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SACRA FAMIGLIA di Vincenzo Ruggiero Perrino – Episodio 18

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 18

Sepphoris, anno 1 a. C.

Stamattina Gesù è andato a Sepphoris con Giuseppe. A differenza delle altre volte che ha accompagnato il padre nella città in cui egli è impiegato, non è rimasto al cantiere, ma è andato a fare visita ai nonni materni che vivono proprio lì. Ha passato una piacevolissima giornata con Gioacchino ed Anna; poi, dopo pranzo, ha salutato i due e si è incamminato verso il teatro della città dove Giuseppe sta lavorando. Così, insieme padre e figlio torneranno a casa.

Gesù passeggia per strada guardandosi intorno: Erode aveva deciso di ricostruire Sepphoris imitando lo stile delle più belle capitali dell’impero romano. Del resto, tutti sapevano che il re non voleva inimicarsi i nuovi padroni della Palestina, e pensava che ricostruire una città – oltretutto distrutta proprio dai romani – secondo le tecniche dei romani, era una buona idea.

Le case non assomigliavano per niente a quelle di Nazareth o degli altri piccoli villaggi dei dintorni: erano più grandi e meglio rifinite. Le persone erano vestite in maniera molto più sfarzosa. C’era un gran via vai di oratori, maestri, medici, dottori della legge, scribi. Insomma: a Sepphoris ci tenevano a mostrarsi più valenti che altrove. Gesù pensò che costoro ebrei lo erano ormai solo di nome, ma di fatto erano romani in tutto e per tutto!

Cammina cammina, il ragazzo nota un personaggio strano: indossa vesti più umili, ha i capelli lunghi e crespi, e cammina avanti e indietro sotto il portico di un palazzo. In una mano tiene un rotolo di pergamena tutto scarabocchiato con appunti; sembra che stia parlando da solo, agitando l’altra mano in aria.

Colpito da quel tipo Gesù gli si avvicina e lo saluta:

«Ciao!».

«Salute a te, ragazzo!», replica l’altro, dando l’impressione di essersi appena svegliato da un lungo sonno.

«Ti ho visto da lontano».

«Ti sarai chiesto “chi è quel matto che cammina e parla da solo”, giusto?».

«Beh non ho pensato proprio questo, ma mi ha incuriosito il tuo modo di fare. Qui tutti sembrano molto impegnati a mostrarsi migliori degli altri, nel vestire, nelle case, nelle proprie professioni. Tu invece mi sembri diverso dagli abitanti che finora ho incrociato per strada».

«Ti ringrazio, ragazzo! Io sono un filosofo. A differenza dei miei concittadini non mi curo del lusso, della ricchezza, o della gloria. A me interessa rispondere alle domande importanti della vita: cos’è l’uomo? Qual è il suo fine? Cosa vuole da noi il cielo?».

«Il tuo accento ti tradisce. Tu non sei giudeo, vero?».

«Sono giudeo, ma per molti anni sono stato ad Atene a studiare presso un importante maestro di filosofia. Quindi il mio accento è stato influenzato da un’altra parlata».

«Il maestro a scuola ci ha spiegato che la Grecia è la patria di tanti filosofi».

«Ha detto bene. E, come ti dicevo poc’anzi, i filosofi sono diversi da tutti gli altri».

«Sembra che tu sia orgoglioso di essere diverso dagli altri!».

«E infatti lo sono!».

«Perché?».

I due si siedono su una panca di legno che è sotto il porticato in modo da poter chiacchierare tranquillamente. Così, il filosofo risponde alla domanda di Gesù:

«Tu hai visto tutti queste persone che correvano dietro ai loro affari e alle loro cose materiali. Io invece mi disinteresso di queste cose, e mi concentro sul pensiero, sulle parole, cercando di comprendere i grandi misteri della vita».

«E sei riuscito a comprenderne qualcuno?».

«Finora no», replica quello con un’aria un po’ triste.

«Non sarà perché in fondo non c’è alcun grande mistero da scoprire?».

L’uomo sussulta ed esclama:

«Tu non sai quel che dici ragazzo!».

Gesù sorride e continua:

«Io penso che tu corra dietro ad un mistero che non c’è. Cosa può esserci di misterioso nella vita? Piuttosto che farsi tante domande, bisognerebbe che tu la vivessi la vita!».

«Quindi, secondo te, io sono nel torto e gli altri nel giusto, vivendo la loro vita di dissolutezze?».

«Non ho mica detto questo! È evidente che inseguire i beni materiali, il lusso, la ricchezza, la gloria, il potere, sono comportamenti che facilmente possono portare l’uomo fuori strada».

«Oh, almeno su questo punto siamo d’accordo!».

«Sì, ma anche condurre una vita isolata, addirittura facendosi vanto della propria solitudine, impiegando il proprio tempo a pensare a cose “misteriose”, che misteriose non sono, può portare l’uomo fuori strada».

«Io almeno una strada da percorrere la cerco gli altri no!».

«Il punto è proprio questo: la via è proprio la vita».

«Ragazzo mio, sei più complicato di me con le parole!».

«Ti spiego: tu pensi che la vita ti sia stata data per trovare una via e giungere alla verità, giusto?».

«Sì».

«Io credo che la vita sia la via che porta alla verità! Non ci sono altre vie, se non quella di vivere la vita per giungere alla verità».

«Ragazzo mio, le tue parole sono ricche di un senso nuovo».

«Le mie parole sono ricche del loro vero senso, un senso antico. Il problema è che le vostre parole sono spesso prive di un vero significato, perché le avete consumate usandole in maniera eccessiva e spesso inconsapevole. Per dire cose nuove, avete bisogno di rigenerare le vostre parole. Dovete restituire loro il senso che è loro proprio. Tu sai cos’è la manomissione?».

«Se non sbaglio è un termine giuridico dei romani».

«Esatto, è la pratica giuridica con cui il padrone rende finalmente la libertà al suo schiavo».

«E cosa c’entra?».

«Se vuoi veramente che la tua vita sia la via che ti porta alla verità, almeno “manometti” le tue antiche parole: rendile nuovamente libere di significare qualcosa».

«Non è semplice!».

«No, non lo è, perché per fare questo devi essere libero nella testa e soprattutto nel cuore».

«Ma qual è la strada da seguire? Come bisogna comportarci verso gli altri e verso il cielo?».

«Questa è una domanda intelligente! La risposta è scritta nella Legge».

«La Legge è piena di precetti e di regole, che nessuno segue se non per farsi bello agli occhi degli altri e per criticare le manchevolezze degli altri, senza nessuno spirito di autenticità!».

«E ci risiamo con le critiche agli altri. Pensa per te, piuttosto che pensare agli altri…».

«Alla fine se presti attenzione alle cose che sono scritte nella legge, tutto è riconducibile ad appena due regoline semplici semplici».

«Sentiamole», fa quello un po’ incredulo.

«La via da seguire nella vita, per giungere alla verità, è amare gli altri come si ama se stesso e amare Dio come si ama se stessi. Facile no?».

«Ma tu sei un ragazzino… Come fai a sapere queste cose? Io dopo anni di studio non ero mai arrivato ad un conclusione del genere!», esclama il filosofo, stupito da tanta intelligenza.

«Basta leggere ciò che è scritto da secoli. Se io non amo essere derubato, ingiuriato, ucciso, è chiaro che nemmeno un altro amerebbe essere derubato, ingiuriato o ucciso. Quindi se io non voglio che lo si faccia a me, nemmeno lo devo fare ad un altro! E così è per quel che riguarda Dio…».

Il filosofo abbassa la testa, pensieroso. Poi, dici quasi come un sussurro: «Infatti, bastava solo leggere ciò che è scritto, invece di perdere tanto tempo a pensare e a riflettere… Avrei dovuto vivere!».

«Su, su, niente è perduto. L’importante è che ora è tutto chiaro!», dice Gesù, sorridendo candidamente.

 Segue un lungo momento di silenzio. Il filosofo guarda Gesù negli occhi. Alla fine si alza in piedi ed esclama:

«Grazie, ragazzo mio! Ho imparato più cose da te in mezz’ora, che in tanti anni spesi alla scuola di filosofia ad Atene… E non so nemmeno come ti chiami!».

«Gesù».

«Bene, credo che in futuro sentirò parlare di Gesù come del più grande filosofo di tutti i tempi».

«Ma io non diventerò un filosofo…».

«Non mi dirai che vuoi diventare un avvocato o un affarista».

«No, diciamo che in un certo senso quello che farò avrà a che vedere con via, verità e vita…».

«Non sono sicuro di aver capito…».

«Tranquillo, amico mio, tutte queste cose ti saranno molto più chiare tra una trentina di anni…».

[giugno 2017]

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La Sacra Famiglia di Nazaret

SACRA FAMIGLIA di Vincenzo Ruggiero Perrino Ep. 17

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 17

Nazareth, anno 1 a. C.

La ristrutturazione del teatro di Sepphoris, grazie al lavoro di Giuseppe e dei suoi compagni costruttori, è ben avviata. Proprio oggi è arrivato un nuovo carico di pietre, che serviranno per completare la pavimentazione dell’orchestra. Gesù, che desidera vedere come procedono i lavori (e magari cominciare ad imparare un po’ i segreti del mestiere), ha accompagnato il padre.

«Forza ragazzi!», grida il capo cantiere, «oggi cominciamo a lastricare il pavimento. Mi raccomando, usate molta cautela affinché le pietre non vadano danneggiate».

Benché la giornata sia molto calda e afosa, Giuseppe e gli altri iniziano di buona lena a lavorare.

«Pa’, vi posso aiutare?», gli chiede il figlio.

«Chiedi al capocantiere».

Gesù va dal capo e chiede in che modo può rendersi utile. Quello prima lo guarda dalla testa ai piedi, poi scoppia a ridere.

«Che c’è da ridere?».

«Ragazzo, sei troppo piccolo e gracile per lavorare con noi».

«Come puoi dirlo?».

«Beh, basta guardarti: sei magrolino e non hai muscoli. Quelle pietre sono molto pesanti».

«Tu confidi troppo nella tua esperienza, e giudichi frettolosamente le cose che vedi, senza andare al fondo della verità!», replica Gesù.

«Vatti a mettere lì e stai buono!», conclude l’altro.

Ciò sentenziato, il capo cantiere va a sedersi all’ombra; Gesù gli sorride e va a mettersi da qualche parte, limitandosi a guardare gli altri che lavorano.

Dopo un po’ che gli operai stanno trasportando le pietre, e man mano le stanno sistemando a regola d’arte per lastricare il pavimento dell’orchestra del teatro, uno di quelli si accorge che una pietra forse è difettosa.

«Capo, vieni un attimo a vedere», grida, chiamando il suo superiore perché si renda conto.

«Per Giove, che succede?», chiede l’altro infastidito.

«Guarda questa pietra», risponde l’altro, mostrando una pietra più piccola delle altre, e quindi, a suo giudizio inservibile.

«Allora?».

«Allora non è buona per lastricare il pavimento, no?».

«E da me cosa vuoi?».

«Che devo farci?».

«Scartala e usane un’altra!», conclude l’altro seccamente, tornando a sedersi all’ombra.

Quello prontamente esegue. Giuseppe che ha visto tutta la scena, non condividendo quella scelta, si avvicina al compagno, e gli dice:

«Secondo me la potevamo usare lo stesso».

«Hai sentito il capo? Ho fatto solo quello che mi ha detto lui».

«È uno spreco scartare una pietra…».

Nel frattempo, senza farsi vedere da nessuno, Gesù ha recuperato quella pietra e l’ha portata in un angolo del cantiere, un po’ più distante da dove stanno lavorando tutti gli altri. Posta quella pietra a terra, ha cominciato a prendere altre pietre e a sistemarle in modo ordinato e preciso, usando quella come base. E mentre lavora fischietta allegramente.

Intanto, nella discussione sull’opportunità o meno di scartare la pietra, si intromette un altro operaio, che è evidentemente un forestiero, uno che viene da Oriente. Parla infatti in un greco molto stentato.

«Io crede che Giuseppe avere ragione».

«Qualcuno ha chiesto la tua opinione?», fa il primo operaio.

«Ehi, mica c’è bisogno di essere tanto sgarbato!», gli fa notare Giuseppe.

«Non impicciarti, Giuseppe. Questi orientali vengono qui, prendono il nostro lavoro e vogliono pure insegnarci il mestiere».

«Ma che dire tu?», chiede l’operaio straniero.

«La verità! Ci sono operai di Nazareth e di Sepphoris che non lavorano, e a voi altri invece hanno dato il lavoro», continua l’altro.

«Quelli che non lavorano è perché non hanno voglia di farlo…», ribatte Giuseppe.

«Io non avere rubato proprio niente! E tu essere una testa di legno se pensare che quella pietra non buona!», insiste lo straniero.

«Testa di legno a me?».

«Sì, tu, perché solo testa di legno può dire sciocchezze e non sapere distinguere pietra da pietra!», rincara la dose.

Al che, come spesso accade, prima si inizia con gli spintoni, poi con i ceffoni, e poi è un attimo che succede una rissa. Giuseppe e gli altri operai intervengono a separare i due litiganti. Ovviamente, anche il capo cantiere si alza dalla sedia sulla quale si era seduto. Con evidente fastidio, per essere stato nuovamente disturbato, si avvicina agli operai e comincia a gridare:

«Ehi voi! Si può sapere che diamine succede qui? Perché state litigando? Non vi basta il caldo che fa, per volervi stancare anche facendo la lotta?».

«Capo, questo straniero mi ha aggredito», comincia a dire il primo operaio.

«Non è vero!», protesta l’altro.

«Silenzio! Giuseppe, tu che sei quello più tranquillo qui, mi vuoi dire che cosa è successo?».

Allora Giuseppe riassume rapidamente le cose successe, di come tutto il discorso sia cominciato con la questione della pietra che era stata scartata, di come l’operaio straniero ritenesse che invece poteva essere utilizzata e di come l’altro lo avesse insultato dicendo che è uno venuto da chissà dove per rubare il lavoro agli uomini di Sepphoris e di Nazareth.

«Insomma, tutto questo per una semplice pietra?».

«Beh, non è solo questione della pietra, è anche per le insinuazioni e le offese riguardo alla provenienza dell’operaio straniero», precisa Giuseppe.

«Allora, vediamo un po’ come l’operaio straniero voleva usare la pietra che secondo me è da scartare», propone il capo. Poi, grida a qualcuno: «Riprendete quella pietra e portatela qui, così vediamo di cosa è capace lo straniero».

«La vado a prendere io», si offre l’operaio della lite, quello che per prima aveva detto che la pietra non era buona per essere usata.

Così, quello va nel punto dove l’aveva gettata, ma non la trova. Poi, alza gli occhi per guardare un po’ più in là e si accorge che Gesù ha appena completato una costruzione di pietre. In pratica ha fatto un modellino in miniatura del tempio di Gerusalemme, usando come base la pietra che quelli avevano gettato via.

«Ehi capo!», grida quello, senza staccare gli occhi dall’opera di Gesù.

«Che altro c’è ancora? Vuoi portare sì o no quella pietra?».

«Ehm… credo ci sia qualcosa che tu debba venire a vedere».

Spazientito, il capo si sposta dove l’altro è andato a cercare la pietra.

«Dunque?», gli chiede.

L’altro si limita ad indicare con il dito. Anche il capo non può far altro che rimanere stupito per quello che Gesù è riuscito a fare. Poi, lo chiama vicino a sé e gli chiede:

«Lo hai fatto tu da solo?».

«Sì, capo!», risponde Gesù, con il suo solito sorriso gioioso.

«Come diamine hai fatto?».

«Ho solo preso la pietra che voi costruttori avete scartato e l’ho usata come base. Poi, mentre eravate intenti a litigare, ho pensato di costruire un piccolo tempio di Gerusalemme, utilizzando altre piccole pietre».

«Avete visto?», dice il capo cantiere a tutti gli altri, «un ragazzino è stato capace di fare un bel lavoro in meno di un’ora. Voi invece, nello stesso tempo non avete fatto altro che litigare. Vergognatevi!».

«Un momento», fa Gesù, «anche tu non ti sei comportato bene. E tu sei il capo, e quindi dovresti usare maggiore giudizio dei tuoi operai. Anzi, dovresti essere sempre in mezzo a loro a controllare quello che fanno, e ad evitare che succedano battibecchi e risse, com’è successo poco fa».

«Ma… ma…», riesce solo a balbettare il capo.

«Un vero “capo” sta in mezzo ai suoi operai, li aiuta, evita litigi, e soprattutto non prende mai decisioni affrettate, solo per potersi andare a sedere all’ombra. La pietra che voi avete scartata, io l’ho usata come testata d’angolo, e tu per primo sei rimasto meravigliato per un modellino che ho costruito. Impara a guardare con occhi nuovi le cose, e a non dare giudizi affrettati, altrimenti poiché tu ritieni di avere la verità, i tuoi errori non ti saranno perdonati».

Giuseppe, intanto, si è avvicinato al figlio, ma, conoscendolo, preferisce restare in silenzio e lasciar fare e dire tutto a lui.

«E questo vale anche per l’altro operaio, che senza riflettere non solo ha gettato via la pietra, ma non ha nemmeno dato ascolto all’operaio straniero. Anzi, per giunta, lo ha anche offeso e insultato, solo perché è straniero. I pagani e i farisei si comportano così, con tanta superbia! Ma attenzione, il nostro Signore Dio guarderà le opere dei figli suoi. E io penso che di questo passo, molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati come voi avete gettato la pietra che vi sembrava non buona».

Gli operai stanno tutti a capo chino ad ascoltare le parole del ragazzo. Poi, il capo, con atteggiamento di pentimento, domanda:

«Che dobbiamo fare, allora?».

«Fate tesoro di quello che è accaduto oggi e di quello che vi ho detto, e non ripetete più l’errore… E, soprattutto, riprendete a lavorare, che altrimenti questo teatro non sarà mai pronto!», conclude Gesù, facendo un gran sorriso.

«Avete sentito? Al lavoro!», intima il capo, stavolta prendendo posto tra gli altri.

Così, tutti si rimettono a lavorare.

«Poi, quando siamo a casa mi spieghi come ci sei riuscito a fare quella piccola costruzione», dice Giuseppe al figlio mentre torna a lavoro.

«Pa’, non ti dare pensiero, tutto ti sarà più chiaro tra una trentina di anni…».

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SACRA FAMIGLIA di Vincenzo Ruggiero Perrino -Episodio 16

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 16

Nazareth, anno 1 a. C.

Gesù si è svegliato un po’ più tardi stamattina. È giorno di festa a scuola e quindi appena sarà pronto, insieme con Giovanni, andrà al lago a giocare con gli altri bambini. Avrebbe voluto accompagnare Giuseppe al cantiere di Sepphoris, ma il padre è partito all’alba, e la sera prima gli aveva detto di riposare e che sarebbe andato con lui un altro giorno.

«Ehilà, ben svegliato», lo saluta Maria.

«Buongiorno!», risponde lui, stropicciandosi gli occhi.

«Dormito bene?».

«Mica tanto… Ho avuto un brutto sogno».

«Ti va di raccontarmelo?».

«No, meglio di no…».

«Perché?», chiede la madre, assumendo un’espressione di preoccupazione mista a tristezza.

«Perché ho sognato di essere ucciso».

Maria è presa da un senso di sgomento. Poi, per sdrammatizzare dice:

«Non devi preoccuparti. Al mercato ho sentito due soldati romani che parlavano proprio dei sogni. Secondo loro, i sogni non sono altro che fantasie, prive di qualunque utilità pratica per il sognatore. Cioè, sono solo frutto della fantasia, che magari ti fa rivivere qualcosa che ti ha colpito durante la giornata».

Gesù, sapendo che la madre è turbata, replica: «Sì, mi sembra giusto. Per loro natura i sogni non si possono spiegare e portano messaggi difficili da interpretare. E non sempre i messaggi che portano si realizzano».

«Bene. Dai, vai a prepararti, che tra poco arriva Giovanni», conclude Maria.

Poco dopo, il cugino è giunto e Gesù si è preparato. Insieme, si dirigono verso il lago.

«Stanotte ho sognato di essere ucciso», gli confida Gesù, strada facendo.

«Ma dai! Racconta».

«No, meglio di no…».

«Vabbè, ma manco puoi dirmi che hai avuto un brutto sogno e poi non raccontarmelo».

«Secondo mamma, i sogni sono solo fantasie e non significano niente».

«Uhm… secondo me dovresti parlarne con qualcuno capace di interpretare i sogni, così ti spiega bene qual è il significato del tuo», suggerisce l’altro.

«Ma io so perfettamente cosa significa il mio sogno».

«E cosa significa?».

Segue una lunga pausa. Gesù assume un’aria riflessiva e poi, aprendosi in un largo sorriso replica al cugino:

«Quello che significa ti sarà più chiaro tra una trentina di anni!».

«Ci credi se ti dico che lo sapevo già che mi avresti risposto così?», ribatte Giovanni.

Insieme scoppiano a ridere.

Intanto, giunti nei pressi del lago, incontrano un po’ di bambini: ci sono Simone e suo fratello Andrea, e i figli del socio del loro padre, Giacomo e Giovanni. Poi, ci sono alcune bambine: Sara, Cleofa, Rebecca e Maddalena. E c’è anche un ragazzino da poco unitosi al solito gruppetto: si chiama Zenone, ed è il figlio di un ricco commerciante di origine greca.

«Salve, parvulos», saluta Gesù.

«Che fai, ora, ti metti a parlare la lingua dei nostri invasori?», sembra quasi rimproverarlo Giovanni.

Gli altri, invece, sembrano divertiti da quel modo inconsueto di salutare.

«Ragazzi, sono contento che ci siamo proprio tutti stamattina», commenta il fratello di Giacomo, che pure si chiama Giovanni, ed è il più piccolo della compagnia.

«Che facciamo?», chiede Sara.

Seguono un po’ di proposte su quale gioco fare. Alla fine, prende la parola il nuovo arrivato, il greco Zenone:

«Quando vivevo ancora a Salonicco, prima di trasferirmi qui, con i miei compagni facevamo un gioco».

«Quale?», chiedono un po’ tutti.

«Allora, uno di noi viene bendato e conta fino a cento…», esordisce il ragazzo.

«E se chi viene bendato non sa contare?», chiede Simone, scatenando l’ilarità di tutti.

«Uhm…», riflette l’altro, che non si aspettava una simile domanda, «facciamo che scegliamo qualcuno capace di contare fino a cento e ci togliamo dall’impaccio».

«Gesù è bravo a scuola. Lui sa contare fino a cento!», fa notare Rebecca.

«Sì, è vero», conferma Giovanni.

Gesù li guarda come per dire “ma perché proprio io?”, e poi rivolto a Zenone lo esorta a continuare la spiegazione del gioco. Così, quell’altro riprende:

«Dunque, uno viene bendato e conta fino a cento, mentre tutti gli altri corrono a nascondersi da qualche parte. Quando chi è bendato è arrivato a cento, si scioglie la benda e cerca di scoprire dove si sono nascosti gli altri. Il primo che viene scoperto dovrà a sua volta bendarsi e andare in cerca degli altri».

Sentita la spiegazione, tutti sono d’accordo fare quel gioco, e, ascoltato ciò che hanno poc’anzi detto Rebecca e Giovanni, il primo a dover essere bendato e a contare sarà Gesù.

Un po’ controvoglia si fa bendare e comincia a contare ad alta voce, mentre gli altri, chi da una parte chi dall’altra, vanno a nascondersi. Giacomo e Giovanni si nascondono dietro ad una barca, che la notte prima era stata tirata in secca; Simone e Andrea invece si nascondono dietro ad alcuni cespugli; le ragazze corrono un po’ più in là, dove ci sono degli alberi e si mettono ognuna dietro una pianta; Giovanni, il cugino di Gesù, va a mettersi dietro il muro di una casa che è poco più in là, e nella quale, data l’ora non c’è nessuno; Zenone, infine, si nasconde sopra il tetto di quella stessa casa.

«Ma, non sarà un po’ pericoloso stare lassù?», gli fa notare Giovanni.

«Cosa vuoi che succeda? Piuttosto, non parlare forte, altrimenti tuo cugino capisce subito che siamo qui e uno di noi due lo trova di sicuro!», risponde il ragazzo greco.

Arrivato a contare fino a cento, Gesù si toglie la benda e si guarda intorno. Tutti sono ben nascosti a quanto sembra, visto che gettando l’occhio non riesce a individuare nessuno. Notata la casa poco più in là, e pensando che possa costituire un buon nascondiglio, si dirige proprio in quella direzione.

Quando è dinanzi alla porta, si accorge che un filo di paglia dal tetto gli è caduto tra i capelli. Alza la testa e con la coda dell’occhio vede un’ombra sgattaiolare sulla terrazza. Stando attento a non fare rumore, si arrampica sul tetto, e s’accorge che, nascosto lassù, c’è Zenone.

«Eccoti lì, Zenone!», esclama a gran voce alle spalle del nuovo amico.

Quello, forse sorpreso dall’essere stato trovato, si volta di scatto, ma nel girarsi perde l’equilibrio e cade di sotto.

Gesù si precipita a vedere cosa gli è successo, e nel ridiscendere trova pure Giovanni, al quale dice: «Presto, Giovanni, corri a chiamare aiuto. Zenone è caduto dal tetto».

«Come è caduto?».

«Ero salito per vedere chi c’era e lui ha perso l’equilibro ed è caduto».

«Gliel’avevo detto che era pericoloso nascondersi sul tetto».

«Corri a chiamare suo padre», gli dice Gesù.

Zenone è lì riverso e non si muove. Gli altri bambini, usciti fuori dai rispettivi nascondigli, si avvicinano alla casa. Nessuno, però, ha il coraggio di avvicinarsi al corpo di Zenone, poiché tutti credono che sia morto. Poco dopo giungono anche il padre e la madre del ragazzo e cominciano a piangere e ad accusare Gesù di aver spinto di sotto il loro ragazzo.

«Come potete accusare Gesù di aver gettato giù Zenone?», chiede Giovanni.

Quelli, però, continuano a maltrattarlo, minacciando di chiamare le guardie perché arrestino Gesù.

«Ma, siamo solo bambini e stavamo giocando. Zenone è salito sul tetto per nascondersi ed è caduto», fanno notare un po’ tutti gli altri.

I genitori del ragazzo caduto non sentono ragioni. Giunte anche le guardie, i genitori seguitano a disperarsi per la morte del figlio, e ad incolpare Gesù dell’accaduto.

Allora, quello si avvicina al ragazzo per terra. Guarda tutti i presenti e dice ai genitori: «Mi avete accusato di un crimine senza nemmeno farmi dire una parola. Cosa fareste voi, se io vi accusassi senza ragione dinanzi a tutti e dinanzi al cielo?».

Essi tacciano.

«Io vi dico che Zenone non è morto».

Infatti, accovacciatosi sul ragazzo, lo scuote dicendogli: «Zenone, alzati e dì a costoro: sono io che ti ho gettato giù dal tetto?».

«Stupido, non vedi che è morto? Come pensi che possa risponderti?», lo insulta una delle guardie.

Ma Zenone apre gli occhi, si alza e si mette a sedere, guardandosi un po’ intorno. Si massaggia la testa che ha battuto nel cadere: «No, Gesù, non sei stato tu a buttarmi di sotto. Ho perso l’equilibrio e sono caduto».

I genitori e le guardie rimangono sbalorditi. Zenone si alza in piedi e si complimenta con Gesù, perché è stato bravo a capire dove lui si era nascosto. Poi, va dalla madre e dal padre che lo abbracciano e lo baciano. Infine, se ne ritornano con il figlio a casa. E anche le guardie vanno via, senza dire una parola.

«Gesù, tu sei sempre stato bravo con tutti, ma quelli ti volevano arrestare…», gli fa notare Simone.

Lui sorride e dice a tutti gli altri amici: «Fate tesoro di questo: cercate sempre la verità e non fermatevi all’apparenza. Questo lo fanno i pagani. Ma chi crede veramente nel Signore, cerca sempre e comunque la verità».

Avendo visto ciò che era accaduto, Giacomo e Giovanni, maledicono quella gente: «Che scenda un fuoco dal cielo e li consumi». Ma Gesù si volta verso di loro e li rimprovera: «No, amici. Chiedete piuttosto al Signore che dia loro la saggezza di comportarsi rettamente secondo la sua volontà e non maledite nessuno, nemmeno chi vi accusa ingiustamente».

Giovanni, per stemperare un po’ le cose, assume un’espressione buffa e ammiccante, ed esclama: «Tanto, tutte queste cose tra una trentina di anni vi saranno più chiare!».

La frase procura l’effetto sperato, perché Gesù per primo comincia a ridere, seguito da tutti gli altri. Poi, visto che la giornata è ancora lunga, riprendono a fare il gioco insegnato loro da Zenone, finché non viene l’ora di cena.

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SACRA FAMIGLIA di Vincenzo Ruggiero Perrino – Episodio 15

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 15

Nazareth, anno 1 a. C.

Usciti da scuola, Gesù e Giovanni hanno deciso di far visita a Giuseppe, il quale, poiché il cantiere di Sepphoris resterà fermo per qualche settimana, ha ripreso di buona lena il suo secondo impiego: vendere frittelle per strada.

«Comunque, io penso che zio Giuseppe sia veramente in gamba… Cioè, non è come tutti quegli sfaccendati che perdono tempo quando non lavorano. Lui è riuscito ad inventarsi un secondo lavoro», esordisce Giovanni.

«Già, mio padre è forte! E devi dire che a vendere le frittelle guadagna più che a fare il costruttore a Sepphoris!», replica l’altro.

«Meglio così, no?».

«Direi!».

«E, poi, diciamola tutta: le frittelle che fa tuo padre sono proprio ottime!».

«Per questo la gente fa la fila per comprarle!».

Cammina cammina, i ragazzi giungono nella strada adiacente il mercato, dove Giuseppe ha piazzato il suo banchetto da venditore.

«Ecco!», esclama Gesù, «che ti dicevo? Guarda che fila che c’è già!».

I due si avvicinano al padre/zio, che nel vederli li saluta: «Ue’, ragazzi, già finita la lezione?».

«Sì, zio, una noia che non ti dico».

«Come mai da queste parti?».

«Pa’, che domande! Ci siamo detti “andiamo a vedere come procede il lavoro”, e siamo venuti qui!».

«Ah, ecco, e io che pensavo che volevate assaggiare una mia frittella… Mi sono sbagliato… Vorrà dire che quelle che volevo dare a voi, le venderò a questo signore…», dice, alludendo al primo della fila che aspetta di avere la sua frittella.

«Beh, zio, se ce ne fai assaggiare una, noi mica rifiutiamo!».

Giuseppe scoppia a ridere e porge una frittella ciascuno. Poi, mentre i ragazzi si siedono su delle pietre un po’ più in là, lui continua a servire i suoi clienti. Dopo un po’ di tempo, la fila è stata smaltita: tutti hanno avuto la loro frittella, la borsa con i soldi è piena, e adesso si può tornare a casa. Così, l’uomo comincia a mettere in ordine le sue cose; i ragazzi gli si avvicinano per aiutarlo.

Poco più in là, dall’altro lato della strada, uno storpio, vestito di stracci, si muove verso il terzetto con il suo passo claudicante, strisciando una gamba e appoggiandosi ad un lungo e nodoso bastone.

«Aspetta! Aspetta!», grida verso Giuseppe, agitando il braccio.

«Cosa succede?», chiede l’altro.

«Stai andando via?», domanda appena giunge vicino a Giuseppe.

«Sì. Ormai si è fatto tardi, e ho finito tutte le frittelle che avevo preparato».

«Maledico questa gamba che non funziona come dovrebbe, che mi ha fatto fare tardi!».

«Via, non mi sembra sia il caso di prendersela tanto. Domani sarò di nuovo qui e potrai mangiare una mia frittella», replica l’altro.

«Tu non puoi capire. Ho chiesto l’elemosina al mercato per un’intera giornata per poter comprare una tua frittella. E ora, dopo tanta fatica, dovrò restare digiuno fino a domani».

«Se l’avessi saputo sarei venuto io da te a portartene una».

«Lo so, tu non hai colpa. Io me la prendo con il cielo che mi ha fatto così!», dice l’altro, con un tono particolarmente arrabbiato, quasi come se sputasse veleno ad ogni parola.

Udite queste cose, Gesù interviene nel discorso.

«Cosa succede?», chiede.

«Ma ti pare il momento? Non vedi che è abbastanza arrabbiato?», gli fa notare Giovanni, cercando di trattenerlo per un braccio.

«Lascia, voglio soltanto parlare con lui».

Ascoltata la spiegazione dell’uomo, Gesù gli chiede: «Ma il Padre nostro che è nei cieli non ha voluto certo punirti, facendoti nascere con una gamba malata».

«Ah no? Ma non credo che vivere in queste condizioni sia un premio!», esclama l’altro in tono sarcastico.

«Dovresti semplicemente cercare di vivere al meglio che puoi, perché punizioni e premi verranno dopo la morte, non certo prima! Se tu fossi un attore, ti direi che in un certo senso questa è la parte che ti tocca interpretare, e devi farla bene, se vuoi che lo spettacolo abbia successo. E uno spettacolo ha successo o meno, dopo che è stato rappresentato».

«Ragazzo, ma mi vuoi forse prendere in giro?».

«Non mi permetterei mai».

«E ammesso pure che fosse come dici tu, desidererei, però, sapere perché, in questo “spettacolo”, proprio io debba fare il pezzente? Solo per me, la vita deve essere così tragica? E perché, per gli altri, invece tutte le cose devono andare bene? Non siamo forse tutti uguali davanti al tuo Dio? Perché, allora, la vita è tanto diseguale per ognuno, e a me è toccato vivere da miserabile e storpio? A me non sembra giusto che ad altri la vita dia maggiori gioie rispetto a me!».

A quel punto, Giuseppe e Giovanni guardano Gesù, quasi come se temessero che il loro figlio e cugino non riesca a replicare nulla a quell’uomo effettivamente tanto sfortunato, da non aver potuto avere nemmeno la gioia di gustare una frittella.

Invece, il ragazzo tira un bel respiro e poi comincia a dire: «Ti faccio un esempio, così per rendere meglio l’idea che ti voglio spiegare».

«Sentiamo».

«Se fossimo a teatro…».

«Di nuovo a teatro?».

«Sai, mio padre lavora proprio alla ricostruzione del teatro a Sepphoris, e si spacca la schiena e la mani per fare in modo che io possa crescere. E dunque il teatro è una cosa che conosco bene. E poi considera che il mondo è un po’ il teatro sul quale si affaccia lo sguardo del nostro Signore…».

Il mendicante annuisce senza replicare alcunché.

«In una rappresentazione è degno di lode sia colui che la parte fa del mendicante (che però si dedica a quella piccola parte con tutta la passione e il suo impegno), sia colui che rappresenta il re. Entrambi sono uguali nel meritare l’applauso del pubblico. L’importante è far bene la propria parte, indipendentemente da quale essa sia».

«Cioè?».

«Tu pensa a vivere secondo la volontà di Dio, e vedrai la tua ricompensa sarà pari a quella di un re o di uno scriba. E, affinché non tu non ti affigga ritenendo che Dio ti abbia voluto condannare, ti dico che, ai suoi occhi, il ruolo del re non è giudicato migliore, se il povero, con ogni impegno, avrà ben vissuto. Entrambi avranno la ricompensa per come hanno agito».

«Tu dici?».

«Dico dico. Nel teatro di Dio, il primo attore è pagato tanto quanto il trovarobe, e tanto quanto l’ultima comparsa senza nome. La cosa importante che devi tenere sempre a mente è che, quando calerà il sipario, Dio giudicherà il tuo impegno nel sostenere la parte che ti è stata data».

Segue un lungo silenzio. Giuseppe e Giovanni guardano ora Gesù, ora l’altro uomo. Alla fine questi esclama: «Grazie, ragazzo, per avermi detto queste cose. Forse, mi sono arrabbiato inutilmente. Anche perché alla fine, pur arrabbiandomi, non è che la mia gamba riprende a funzionare, o mi arricchisco e non sono più povero! Proverò a vivere meglio le mie giornate».

«Bravo!».

«Allora io vado. Domani tornerò per avere la mia frittella!», esclama finalmente tranquillo l’uomo.

«Va bene», riesce appena a dire Giuseppe, sorpreso del cambiamento di umore che le parole del figlio hanno provocato in quel poveretto.

«Ah dimenticavo. Io la mia frittella prima non l’ho mangiata. Tieni prendi la mia!», gli fa Gesù.

Quell’altro non riesce a spiccicare nemmeno una parola, ma prende dalle mani del ragazzino la frittella e comincia a piangere. Poi, ringraziatolo, se ne ritorna lentamente da dove era venuto.

«Figliolo, ma perché aspettare che quello si arrabbiasse e sbraitasse come ha fatto? Visto che non avevi mangiato la tua frittella, non potevi dargliela subito, così che non dovevamo sorbirci tutte le sue lagne?», chiede Giuseppe, mentre tutti e tre prendono la via del ritorno.

«No, altrimenti, domani avrebbe fatto altrettanto, se non peggio».

«Cioè?», gli chiede Giovanni.

«Era necessario fargli capire come stanno le cose, e fare in modo che capisse che il Signore non ce l’ha con lui. Solo così poteva fare pace con Dio».

Nipote e zio si guardano perplessi.

«Cosa c’è?», chiede Gesù.

«Non è mica tanto chiaro quello che hai detto, caro cugino!».

«Vabbè, diciamo che…».

Giuseppe e Giovanni lo interrompono e all’unisono finiscono la frase: «… tutto sarà più chiaro tra una trentina di anni!».

I tre scoppiano a ridere e proseguono la strada verso casa.

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La Sacra Famiglia di Nazaret

SACRA FAMIGLIA di Vincenzo Ruggiero Perrino – Episodio 14

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 14

Nazareth, anno 1 a. C.

Il pomeriggio sta trascorrendo serenamente. Maria è appena uscita fuori casa per raccogliere qualche erba profumata con la quale insaporire il pesce che sta cucinando per la cena. Gesù, invece, ha appena riposto le tabulae, cioè le tavolette di legno ricoperte di cera, su cui ha scritto l’esercizio assegnato dal maestro di scuola per il mattino seguente. Si è accorto che lo stilus che ha adoperato finora ha sia la punta che l’altra estremità – quella per rispalmare la cera sulla tavoletta e poter così adoperarla nuovamente per incidere nuove parole – sono quasi del tutto consumate. E, inoltre, tra non molto, la cera sarà troppo rovinata e bisognerà stenderne un nuovo strato per poter adoperare ancora le tabulae comprategli da Giuseppe.

Già, Giuseppe… Il ragazzo pensa che il padre sia un po’ in ritardo, rispetto al suo solito orario.

«Ma’!», chiama da dentro.

La donna, che è ancora fuori, sentitolo, gli risponde: «Che succede?».

«Come mai papà ancora non torna?».

Però, Maria non riesce a sentire bene tutte le parole provenienti dalla casa, perciò gli dice: «Aspetta, non ti sento bene. Finisco di raccogliere un po’ di erba profumata e rientro».

Intanto, dalla casa più vicina, si affaccia un’altra donna. È Rebecca, che è una buona amica di Maria.

«Ciao, Maria», la saluta.

L’altra si volta, riconosce l’amica e risponde al saluto «Salute a te, Rebecca».

«Cosa fai di bello?».

«Raccolgo un po’ di erbe profumate per condire il pesce che sto cucinando per questa sera, mentre aspetto che torni Giuseppe».

«Anche mio marito Elia non è ancora tornato dal pascolo».

«E tu cosa stai facendo?».

«Ero in casa con mia figlia Veronica. Ha appena completato un disegno del mio volto, e volevo che tu lo vedessi».

Infatti, un attimo dopo, esce dalla casa anche una bambina, grosso modo dell’età di Gesù, recando in mano un foglio di papiro.

«Veronica, mostra a Maria, il disegno che hai fatto».

La ragazzina va verso l’altra per mostrarle il disegno. Proprio in quel momento, anche Gesù si affaccia sull’uscio, poiché ancora aspettava dentro che la madre rientrasse per rispondere alla domanda fattale qualche momento prima.

«Ma’!», fa lui, notando Veronica che mostra il papiro.

«Un momento! Questa nostra giovane vicina di casa mi sta facendo vedere una cosa», gli replica. Poi, visto il disegno, si rivolge alla bambina, dicendole: «Ma lo sai che è un disegno bellissimo? Il ritratto che hai fatto del volto di tua mamma è molto somigliante. Sei proprio brava!».

Veronica arrossisce per il complimento e, timida com’è, riesce solo a dire “Grazie”.

«Posso vederlo anche io?», chiede Gesù.

«Certo».

E mentre Maria invita Rebecca in casa per farle assaggiare il pesce che sta cucinando secondo una nuova ricetta da lei ideata, i due piccoli restano fuori.

«Però, sei veramente brava a disegnare», si complimenta Gesù.

«Se vuoi posso fare un ritratto anche del tuo viso», propone Veronica.

«Va bene».

«Ecco, lo farò sul retro del papiro sul quale ho disegnato mamma. Però tu devi restare fermo immobile, mentre io disegno».

«Mi siedo su quella pietra, così starò più comodo mentre tu disegni».

Così, Gesù si siede, e Veronica comincia a tracciare dei segni sul foglio di papiro con il suo calamo. Mentre l’opera sta prendendo forma, in lontananza appare una figura che si avvicina: è Elia, il papà di Veronica. Sta riconducendo il gregge nell’ovile, proprio a ridosso della sua casa.

Veronica, che è di spalle rispetto alla direzione dalla quale proviene il padre, non si è accorta del movimento dietro di lei, così Gesù la informa: «Ehi, tuo padre è di ritorno».

L’altra si volta e, visto il padre con le sue pecore, fa un gran sorriso di evidente felicità. Poi, posati a terra il foglio di papiro e il calamo con il quale sta disegnando, si alza e corre verso di lui per abbracciarlo.

«Papà, sei tornato!».

«Sì, piccola mia. È stata una giornata molto faticosa, a stare dietro a queste altre!», dice alludendo alle pecore del suo gregge.

«Dov’è la mia preferita?», chiede la ragazzina, riferendosi ad una piccola pecorella alla quale è affezionata, e che lei ama chiamare “Bianchina”, poiché il suo colore è di un bianco particolarmente intenso rispetto alle altre.

«Sicuramente è insieme alle altre».

«Posso andare da lei?».

«Certo! Tua madre è in casa?».

«No, è da Maria. Io stavo facendo un disegno a Gesù. Posso portare anche lui a vedere il gregge?».

«Sicuro che puoi!».

Veronica, allora, fa cenno a Gesù di seguirlo a vedere le pecore del padre e a fare conoscenza con Bianchina, mentre Elia si avvicina all’uscio di casa di Maria, per vedere la moglie. I bambini entrano nell’ovile e la ragazza si mette a cercare Bianchina, chiamandola per nome, sapendo che quella, sentendo la sua voce, sicuramente la riconoscerà.

«Bianchina! Qui, forza! Ti voglio far conoscere un mio amico!».

Girato tutto l’ovile, Veronica si accorge che la sua pecorella preferita manca dal gruppo.

«Gesù, Bianchina non è qui!».

«Com’è possibile?».

«Ti dico che non c’è!».

«Beh, penso sia il caso di dirlo a tuo padre».

Correndo i due ragazzi raggiungono Elia, che intanto è a conversare con le due donne in casa da Maria. In casa si accorgono che, nel frattempo, è rientrato anche Giuseppe, che saluta il figlio:

«Ehi, ragazzo, tuo padre è tornato!».

«Ciao, pa’. È successa una cosa!».

«Cosa?».

È Veronica a spiegare a tutti: «Siamo andati nell’ovile, perché volevo mostrare a Gesù, il gregge di papà e fargli conoscere Bianchina. Però, ci siamo accorti che non c’è. Forse quella povera pecorella si è smarrita!».

«Come “non c’è”?», chiede allarmato Elia.

«Non è con le altre pecore. L’ho chiamata e richiamata e non c’è». E detto questo la ragazzina scoppia in lacrime, gettandosi tra le braccia della mamma.

Rebecca e Maria cercano di consolare la piccola. Elia, invece, risoluto, si alza in piedi ed esclama: «Vado a cercare la mia pecora che si è persa».

«Ma ormai è quasi buio. Sarà difficile che tu possa trovarla», gli fa notare Giuseppe.

«No, no. Quella pecorella è importante per me, e anche per mia figlia: devo andare a cercarla!».

«Pa’, io penso che Elia voglia fare la cosa giusta», dice Gesù.

«Figliolo, ma lì fuori è buio. Quella pecora chissà dov’è finita, e magari uscendo Elia potrebbe incontrare dei ladri o dei lupi».

«Allora, andremo anche noi con lui a cercarla. Tanto, le altre pecore sono al sicuro nel loro ovile».

Giuseppe fa un sospiro, sapendo in cuor suo che il figliolo ha ragione, e poi aggiunge:

«Va bene, Elia, verrò…».

«… Verremo… vengo anche io!», lo interrompe Gesù, beccandosi un’occhiataccia dal padre.

«… verremo anche noi e ti aiuteremo a cercare la tua pecorella smarrita».

«Grazie, amici!».

Così, i tre maschi della situazione, copertisi per non prendere l’umidità della sera, escono, mentre le donne restano in casa. Dopo un po’ di tempo che quelli sono via, Veronica esce sull’uscio della porta per vedere se sono di ritorno. Nonostante la notte sia a mala pena rischiarata dalla luce della luna, da lontana vede tre figure che camminano verso la casa di Maria. Man mano che si avvicinano riesce sempre meglio a distinguere che si tratta proprio di suo padre Elia, di Giuseppe e di Gesù. E, aguzzando ancora meglio la vista, si accorge, senza ombra di dubbio, che il suo amichetto porta sulle spalle proprio Bianchina!

«Mamma, mamma! Corri, stanno tornando! E Gesù porta sulle spalle Bianchina!».

Quando giungono di fronte casa, Gesù consegna Bianchina alla ragazza:

«Eccola qui!».

«Ma dov’era finita? Dove si era persa?», chiede lei.

Interviene Elia: «Evidentemente, quando sono ripartito dal pianoro dove le avevo portate a pascolare, non era riuscita a stare al passo con il resto del gregge, ed era rimasta lì, nascosta dietro delle rocce. Era infreddolita e impaurita. E devo dire che se non fosse stato per questo ragazzo, non avrei mai pensato di andarla a cercare proprio lì dove poi l’abbiamo trovata».

«Grazie!», esclama Veronica, abbracciando il suo amico.

«Dai, forza, tutti dentro che si mangia!», esclama Maria.

«Finalmente! Ho una fame da lupi», fa Giuseppe, aggiungendo poi rivolto al figlio: «Inutile dire che tutta questa storia ci sarà più chiara tra una trentina d’anni, eh?».

«Esatto, pa’», dice lui, sorridendo festoso.

«Che vuol dire?», chiede Veronica.

«È una cosa che ripete sempre mio figlio», risponde Giuseppe.

«Ehi, ma il disegno non lo hai più finito», d’un tratto fa notare Gesù.

«È  vero! Con tutta questa confusione l’ho dimenticato fuori!».

Corsa fuori a recuperare il disegno dove l’aveva lasciato, Veronica si accorge che con vento e la polvere si è tutto imbrattato, tanto che il viso di Gesù sembra quello di un uomo molto più grande. L’inchiostro si è mosso e sembra che lui abbia anche la barba.

«Guarda, si è tutto rovinato! Sembri un vecchio! E oltretutto per via della polvere sembra che ti abbiano dato tante botte!», dice Veronica con dispiacere, rientrando in casa e mostrando il disegno a Gesù e agli altri commensali.

«Tranquilla, è comunque un bel disegno», gli dice l’altro.

«Bello?», chiede la ragazza con un moto di stupore.

«Beh, diciamo che è un disegno che capirai tra una trentina d’anni…», sorride Gesù.

«E, quando mai!… Bah, mangiamo che bisogna far festa per la pecorella che abbiamo ritrovato», conclude Giuseppe, suscitando in tutti un sorriso, e facendo sì che la festa prosegua con gioia e spensieratezza.

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La Sacra Famiglia di Nazaret

Sacra Famiglia – Episodio 13

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 13

Nazareth, anno 1 a. C.

Ormai la giornata di lavoro di Giuseppe è finita. Gesù lo ha accompagnato (e anche un po’ aiutato) tutta la giornata sul cantiere del teatro di Sepphoris. Poiché tra non molto il sole comincerà a calare, padre e figlio si decidono a salutare gli altri operai e ad avviarsi verso casa.

«Andiamo, ragazzo!», esclama a gran voce Giuseppe, caricandosi sulla spalla il sacco vuoto, nel quale portavano un po’ di cose da mangiare preparate da Maria per il pranzo.

«Sì, papà. Anche se il sole è ancora bello alto».

«E meno male. Ma per quando arriviamo a casa sarà buio».

La strada, che da Sepphoris porta a Nazareth, dopo aver incrociato la via che porta fino a Gerusalemme, passa nei pressi del grande lago, dove Gesù a volte va a giocare con Giovanni e gli altri amici.

«Chissà mamma che avrà preparato da mangiare», dice il ragazzo.

«Speriamo non si sia inventata niente di strano, come qualche volta fa, e poi a noi due ci tocca fare da cavia per i suoi esperimenti in cucina!».

«Hai proprio ragione, pa’! Mamma, alle volte, non si rende conto di esagerare con alcuni ingredienti, e fa delle cose o troppo piccanti, o troppo salate, o troppo condite».

Giuseppe scoppia a ridere, poi aggiunge: «È vero, ma comunque teniamo per noi questa considerazione».

«Per carità, e chi dice niente. D’altra parte, magari tra duemila anni, queste pietanze saranno quelle più gradite dagli uomini e dalle donne di quel tempo lontano».

«Ma che vai a pensare! Tra duemila anni!».

Cammina cammina, finalmente giungono al lago. Ancora lontani, scorgono una grossa imbarcazione di pescatori, che hanno appena attraccato, e gli uomini a bordo – tre o quattro di loro – scendono a riva. Un’altra barca, invece, procede più lentamente a tornare.

«Ragazzo, forse ho un’idea per salvarci per la cena!».

«Cioè?».

«Andiamo a vedere se quei pescatori hanno preso qualcosa, così compriamo qualche pesce e lo arrostiamo per stasera».

«Grandiosa pensata, pa’!».

Così, Giuseppe e Gesù si avvicinano alla barca.

«Salve», saluta Giuseppe.

«Salute a te, uomo», risponde il più grande di età dei pescatori.

Gesù scorge, dietro a quella figura, due ragazzi, che ad occhio e croce dimostrano di avere la sua stessa età, e li saluta presentandosi: «Ciao, io sono Gesù!».

 «Ciao, io sono Simone», risponde il più grande dei due.

«Ed io sono suo fratello Andrea», fa l’altro.

«Siete pescatori?».

«Beh, siamo ancora troppo piccoli per avere una barca tutta nostra. Però, di solito diamo sempre una mano a papà e ai suoi amici», spiega Simone.

«Vabbè, diciamo che più che altro ci divertiamo un po’…», precisa Andrea.

«Semmai ti diverti tu, io da grande diventerò un bravissimo pescatore!».

«Tu invece che fai?», chiede Andrea al nuovo amico, mentre il fratello maggiore risale sulla barca.

«Oggi non c’era lezione a scuola e così sono andato a Sepphoris con mio padre, che lavora al cantiere».

«Bello, dev’essere un bel lavoro… Vedere che quello che costruisci man mano prende forma e cresce…».

«Se è per questo, tutti i lavori dovrebbero dare questa soddisfazione, se fatti bene…», dice Pietro, cominciando a mettere a posto una delle reti sulla barca. Poi, aggiunge: «Anzi, se vieni a darci una mano, magari ci sbrighiamo e torniamo a casa».

«Agli ordini, generale!», dice Andrea, canzonando il fratello e facendo ridere Gesù.

Intanto, Giuseppe sta chiedendo al pescatore di poter comprare qualche pesce per la cena.

«Purtroppo, non posso esserti di aiuto, amico mio!», replica l’altro con aria mogia.

«Hai venduto già tutto il pescato?», chiede, con evidente sorpresa, quello.

«Magari! Il fatto è che oggi non abbiamo pescato nemmeno un pesce!».

«Possibile?».

«Che devo dirti? È stata una giornataccia».

«Mi dispiace molto».

Gesù, avvicinatosi al padre, e notata la sua aria un po’ delusa, gli chiede: «Qualcosa non va?».

«Figliolo, mi sa che stasera non potremo mangiare altro che quello che tua mamma avrà preparato».

«Ah, e come mai?».

«Non c’è pesce».

«Come sarebbe a dire “non c’è pesce”?».

«Questi pescatori hanno lavorato tutto il giorno, ma non sono riusciti a pescare neanche un pesce».

A quel punto Gesù parla direttamente al pescatore: «Ma come è possibile?».

«Ragazzo mio, purtroppo la giornata è andata così. Anche io e i miei figli, Simone e Andrea, non mangeremo pesce stasera…».

«Il problema è che, dopo tutta ‘sta faticata, non mangeremo affatto stasera…», puntualizza Andrea, dalla barca, al che suo fratello gli dà una gomitata per farlo tacere.

«Lascia che tuo fratello parli, Simone… Purtroppo è vero, non avendo pescato, non mangeremo niente stasera…».

«Facciamo una cosa», inizia a dire Gesù.

«Che vuoi fare?», chiede un po’ sospettoso Giuseppe.

«Io niente, pa’». Poi, rivolto a Simone, Andrea e al loro padre, propone: «Voi, scostatevi qualche decina di metri dalla riva e gettate nuovamente le reti in acqua».

«Ragazzo, forse non hai capito: abbiamo faticato tutta la giornata e non abbiamo preso assolutamente nulla».

«E io invece sono sicuro che pescherete qualcosa. D’altra parte, mica possono essere spariti tutti i pesci! Oppure, mica possono averli presi tutti quelli dell’altra barca».

«Macché! Quelli sono i nostri soci, e nemmeno loro hanno preso niente», dice Simone.

«Io non mi rimetto a lavorare», protesta un altro dei lavoratori.

«Se pescherete, avrete di che mangiare voi tutti, e anche noi altri. Se, invece, non pescherete niente, sarete tutti ospiti per cena a casa nostra».

«Ma sei matto, a metterti a fare queste scommesse?», gli fa Giuseppe, già prefigurandosi la faccia di Maria, nel caso si presentassero senza preavviso a casa con una decina di ospiti.

«Papà, secondo me, non abbiamo niente da perdere da questa proposta. Se peschiamo bene, se non peschiamo non restiamo comunque digiuni stasera, né noi né gli altri lavoratori», riflette Andrea.

«E va bene. Ragazzo mio, sulla tua parola getterò le reti!».

Così, spinta un po’controvoglia la barca in acqua e giunti ad una trentina di metri dalla riva, gettano le reti. Simone, Andrea, il loro padre e gli altri due che lavorano con loro, devono mettercela proprio tutta a tirarle su, tanto sono piene di pesci! Infatti, per non rischiare di rompere le reti, cominciano a gridare a quelli dell’altra barca di andare a dar loro una mano.

«Poi, me lo spieghi come facevi a sapere che in quel punto c’erano tutti quei pesci», fa Giuseppe, ancora meravigliato di quello che è appena successo davanti ai suoi occhi.

«È un lago, da qualche parte i pesci devono pur stare…».

«Mi pare evidente. Ma come facevi a sapere che erano proprio lì dove li hai fatti andare tu?».

«Dai, pa’, sempre a fare domande. Tra una trentina di anni ti sarà tutto più chiaro. E poi, non sei contento che hanno pescato e così anche noi mangeremo pesce?».

«Sì, certo!».

Intanto, le due barche sono tornate a riva e gli equipaggi di entrambe scendono a terra, esultanti e festanti. Simone e Andrea corrono ad abbracciare il loro nuovo amico.

«Se non fosse stato per te, ce ne saremmo tornati a casa a mani vuote!».

«Ma io non ho fatto proprio un bel niente! Ho solo proposto una cosa; siete stati voi bravi ad accettare la proposta e a riprovarci ancora una volta».

«Come sapevi che avremmo pescato?», chiede Andrea.

Gesù e Giuseppe si scambiamo un’occhiata di intesa, e poi il ragazzo risponde: «Diciamo che tra una trentina di anni vi sarà tutto più chiaro».

Andrea vorrebbe chiedere ancora, ma altri due ragazzi si avvicinano a Gesù. Simone si incarica di fare le presentazioni:

«Gesù, questi sono altri due nostri amici, i figli di Zebedeo, che è il socio di papà. Lui è Giovanni e questo è suo fratello Giacomo».

«Anche io ho un cugino che si chiama Giovanni! Magari un giorno torniamo qui insieme e ce la spassiamo un po’ a giocare!». Poi, rivolto al padre gli dice: «Pa’, credo che sia ora di tornare a casa».

«Amico, accetta questo pesce in segno della mia gratitudine verso te e verso tuo figlio», esclama il padre di Simone e Andrea a Giuseppe.

«Grazie», replica Giuseppe, prendendo il pesce che gli viene offerto.

Poi, fatti i saluti, padre e figlio ritornano verso casa.

«Ragazzo, io ancora non riesco a capire come hai fatto…».

Gesù, prontamente, lo interrompe: «Ancora? Piuttosto, pensiamo a cosa dire a mamma, quando ci presenteremo con questo pesce».

«Dici che potrebbe intuire che lo abbiamo preso per non mangiare il suo nuovo esperimento in cucina?».

«Uhm… mi sa che potrebbe intuirlo…».

«E tu come fai a saperlo?», chiede Giuseppe, ma poi lui stesso prontamente aggiunge: «No, non me lo dire, conosco già la risposta: “sarà tutto chiaro tra una trentina di anni”…».

[gennaio 2017]

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La Sacra Famiglia di Nazaret

Sacra Famiglia – Episodio 12

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 12

Nazareth, anno 1 a. C.

Nella casa di Nazareth dove vivono Giuseppe, Maria e Gesù c’è un’atmosfera un po’ particolare oggi. Maria si è alzata prestissimo per preparare il pranzo; Giuseppe non è andato al cantiere, per poter fare delle compere al mercato; Gesù è euforico per quello che accadrà durante la giornata e sta finendo di prepararsi.

«Gesù, sbrigati che è tardi!», chiama Maria.

«Ma’, ma perché gridi? Oggi è il mio compleanno!», dice Gesù, presentandosi alla madre, già tutto lindo e pinto.

«Hai ragione, bambino mio, ma voglio essere pronta quando cominceranno ad arrivare gli ospiti per la festa».

«Dov’è andato papà?».

«È uscito presto per fare delle compere al mercato».

Proprio, nel momento in cui Maria finisce la frase, Giuseppe entra in casa, portando sulle spalle un sacco pieno di cose che ha acquistato.

«Ehi pa’, hai fatto spesa grossa!».

«Beh, festa grossa, spesa grossa!», replica quello, mettendo a terra il sacco e cominciando a tirar fuori un bel po’ di cose da mangiare.

«Io apprezzo quello che fate, ma non affannatevi tanto per le cose materiali…».

«Che dici, figliolo? È il tuo compleanno. È tradizione che si faccia festa e si diano gli auguri al festeggiato per proteggerlo dalle forze del male e per auspicare per lui salute e sicurezza».

«Ma queste sono cose che fanno i pagani! Io penso che nel giorno del proprio compleanno bisogna semplicemente stare bene in compagnia delle persone care, e condividere con loro un po’ di tempo serenamente, magari imparando qualcosa di importante gli uni dagli altri…».

«Questo è vero! Ma noi vogliamo stare bene con te sempre!», dice Maria.

«Sai bene, che “sempre” non è possibile».

Dopo un momento di silenzio, Gesù riprende la parola.

«Insomma, chi sono gli ospiti che aspettiamo?».

«Tra non molto arriveranno mia cugina Elisabetta con marito e figlio… E, poi, ci sarà un’altra persona con i suoi due figli», risponde Maria, concludendo la sua frase con un tono, tale da voler suscitare la curiosità del figlio.

Infatti, la domanda del ragazzo non tarda ad arrivare:

«E chi è questa persona?».

«È una giovane donna, che aiutò la levatrice quando sei nato tu… Insomma, è anche grazie a lei che tu sei nato…».

«Come si chiama?».

«Maria Salome, e verrà con il marito Zebedeo e i suoi figli Giovanni e Giacomo».

«Sono curioso di conoscerla».

«Certo, ragazzo, ma ora dammi una mano a prendere dal sacco le cose che ho comprato», gli dice Giuseppe.

Mentre Maria torna alla cucina, padre e figlio si danno da fare. Gesù ne approfitta per chiedere:

«Papà, ma poi che cosa fece questa Salome quando io sono nato?».

«È presto detto. Io avevo condotto tua madre, che ormai era prossima al parto, in una camera, lontano da sguardi indiscreti. Poi, uscii a cercare un’ostetrica ebrea per le strade di Betlemme… Ti avevo detto tempo fa che eravamo lì per un censimento voluto dai romani…».

«Sì, mi ricordo».

«Bene. Trovata l’ostetrica la condussi da tua madre. E lei piena di stupore per quello che stava accandendo…»

Gesù lo interrompe: «Certo… una nuova vita è sempre qualcosa che provoca stupore, no?».

«Ehm, non intendevo questo… vabbè… dicevo… la condussi da tua madre e quella chiamò Salome, che l’aiutava nel suo lavoro di ostetrica. Questa Salome era incredula rispetto al fatto che tua madre, che ancora non conosceva uomo, potesse essere incinta e partorire… Così, mentre tu nascevi, la mano di lei rimase bruciata!».

«Quindi ora le manca una mano?».

«No, aspetta, non ho finito. La donna si inginocchiò e si pentì della sua iniquità e del fatto di aver dubitato dell’onnipotenza del Signore, e chiese di non diventare un esempio per il suo popolo… Allora, ecco che la stessa ostetrica, notando che tu, appena nato, tendevi le mani verso di lei, esclamò: “Salome, Salome! Il Signore ti ha esaudito: accosta la tua mano al bambino e prendilo su, e te ne verrà salute e gioia”. Così, quella ti prese in braccio, e non appena ti ebbe sfiorato con la mano bruciata, guarì!».

«Ora sono ancora più curioso di incontrare questa donna!».

Così, i tre si aiutano l’un l’altro per preparare tutto e in men che non si dica, il pranzo e la tavola sono pronti. Arrivano prima Elisabetta, Zaccaria e Giovanni, festanti, e fanno gli auguri a Gesù:

«Caro nipote mio, auguri per il tuo dies natalis», dice a gran voce la zia.

«Zia, ma che fai, ti metti a parlare anche tu latino?».

«Per forza: ogni giorno sento tuo cugino Giovanni che ripete la lezione che vi insegnano a scuola, e piano piano la sto imparando anche io questa lingua straniera!».

Zaccaria prende una tavoletta e scrive: “Al mio nipote preferito, auguri per la ricorrenza del suo natale!».

Gesù legge ed esclama: «Grande zio! Quindi sono il tuo nipote preferito?».

L’altro fa di “sì” con la testa. Al che si intromette Giovanni:

«Per forza, sei l’unico nipote!». E poi abbraccia e bacia il cugino esclamando: «Auguri cugino! Auguri!».

Mentre i due ragazzini escono fuori a giocare, gli altri restano in casa ad attendere all’arrivo degli ultimi ospiti. Che non tardano ad arrivare. Infatti, pochi minuti più tardi, Gesù si precipita in casa ed esclama:

«Ma’, è venuta Salome con la sua famiglia!».

Un attimo dopo tutti sono in casa per le presentazioni, delle quali si incarica Giuseppe. Fatta conoscenza, Salome si rivolge a Gesù:

«Oggi è il tuo compleanno! Certo che è passato un bel po’ di tempo da quando sei nato. Sei diventato un bellissimo ragazzo!».

«Grazie!».

«Di certo tu non puoi ricordarti di me… ma io a te devo veramente tanto tanto…».

«Papà mi ha raccontato prima la tua storia…».

«Ho capito che il Signore è onnipotente e ogni cosa è in suo potere…».

«Bene. Questo è importante, poiché tu hai capito che non bisogna mai anteporre la propria volontà a quella del Signore, né mai dubitare della sua misericordia, o crede che egli non possa operare cose grandi per la nostra vita spirituale…».

In quella, Maria esclama: «Forza tutti a tavola!».

Gesù si siede per primo, nel posto centrale del tavolo. Al che Salome lo guarda e gli fa:

«Gesù, perché non fai sedere Giacomo e Giovanni uno alla tua destra e uno alla tua sinistra?».

«In questa circostanza di festa, ora che io sono con voi, qui e adesso, i tuoi figli possono sedere alla mia destra e alla mia sinistra, ma…», risponde Gesù, però non completa la frase.

«Ma?», chiedono un po’ tutti…

Proprio mentre Gesù sta per rispondere, Giovanni gli fa un cenno con la mano, come a dire: “Ci penso io” e parla rivolto a tutti:

 «Mio cugino sta per dire che, riguardo a questa richiesta, tutto vi sarà più chiaro tra una trentina di anni, vero?».

«Verissimo».

Allora, è Zebedeo a concludere: «Benissimo! Allora vorrà dire che da oggi, giorno del tuo compleanno, e per i prossimi trent’anni, noi saremo insieme a te, per scoprire come si conclude la frase che non hai completato oggi!».

E tutti scoppiano a ridere, cominciando il pranzo per il compleanno di Gesù, e gridando tutti insieme: “Auguri per il tuo natale, Gesù!”.

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Sacra Famiglia Episodio 11

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 11

Teatro di Sepphoris, anno 1 a. C.

Benché non sia ancora completamente ultimato, il teatro di Sepphoris viene comunque utilizzato per rappresentazioni di mimi e di altri tipi di spettacoli. E capita, talvolta, che le compagnie provino i loro pezzi teatrali – generalmente farse e parodie di antiche opere – mentre le maestranze lavorano alle rifiniture di gradinate e corridoi.

Giuseppe, insieme con altri operai, sta lavorando al teatro, e questa mattina ha portato con se Gesù, che era curioso di vedere un teatro romano, sebbene ancora non del tutto finito. Appena giunti, il ragazzo nota che sulla scena ci sono degli attori e delle attrici, che stanno facendo le prove di uno spettacolo che daranno quella sera stessa.

«Papà, chi sono quelle persone?», chiede entrando nell’arena.

«Credo facciano parte di una compagnia di mimi che gira per tutta la regione, rappresentando le sue storie», risponde Giuseppe.

«Posso andare a vedere che fanno?».

«Certo, ma non dare fastidio, perché penso si stiano preparando per la commedia che reciteranno stasera».

«Va bene».

Così, mentre Giuseppe raggiunge gli altri lavoratori per cominciare la giornata di lavoro, Gesù va verso la scena del teatro, si siede per terra e si concentra a seguire la storia che viene raccontata dagli attori.

Il più anziano di quelli richiama gli altri:

«Forza, pelandroni, in scena. Riprendiamo da dove avevamo interrotto poco fa!».

«Flavio, eravamo arrivati al punto in cui il figlio più giovane dice ai genitori che vuole andare via», dice un altro attore più giovane, rivolto a quello più anziano.

«Su, allora, recita la tua battuta!».

L’attore più giovane si sistema in quasi al centro della scena, e rivolto all’uomo e alla donna che interpretano i suoi genitori esclama: «Padre, madre, ascoltate ciò che ho da dirvi. Sono giovane e ho voglia di conoscere il mondo. Perciò, caro padre, dammi la parte dei beni che mi spetta, così che io possa partire».

La madre recita: «Figlio mio, dove vuoi andare? Sei ancora troppo giovane per lasciare i tuoi genitori e la tua casa!».

E il padre: «E soprattutto, perché io dovrei darti i miei beni? Quando morirò saranno tuoi, maledetto sciacallo!».

Il ragazzo assumendo un’espressione di scherno, e volgendosi verso la zona del pubblico: «Padre, mi sono già informato dal pretore. Meglio per te che mi dia la mia parte di beni, altrimenti te la dovrai vedere con le guardie!».

«Se le cose stanno così, dividerò tra te e tuo fratello le mie sostanze».

A questo punto, Gesù si accorge che gli attori non stanno più recitando, perché nuovamente prende la parola l’attore più anziano, quello che poco prima l’altro aveva chiamato Flavio, che dice: «Bene, questa parte va bene così! Adesso proviamo la scena seguente. Fate entrare le attrici!».

Tuttavia, l’attore giovane fa notare: «Ehi Flavio, forse non è il caso di far entrare le attrici, c’è un ragazzino che ci guarda!». Infatti, in quel momento della rappresentazione le attrici sarebbero dovute entrare in scena quasi completamente nude, e proporre una scena di danza, come generalmente si usa nei teatri romani di questo tempo.

Quel Flavio si volta verso la cavea del teatro e scorge Gesù, che se ne sta seduto a guardare le prove.

«Ehi, tu, ragazzino, che ci fai qui?», gli chiede dalla scena.

«Sono venuto con mio padre che lavora qui. Vi stavo guardando recitare… Sembra una storia interessante, ed ero curioso di vedere come andava a finire», risponde lui.

«Veramente tu non potresti stare qui. Non credo siano spettacoli adatti ad un ragazzino della tua età!».

«Dici?».

«Beh non sono cose particolarmente “pure”», precisa lui, mentre tutti scoppiano a ridere.

«Io credo che non bisogna preoccuparsi di ciò che dall’esterno entra dentro i nostri cuori e le nostre menti, quanto piuttosto di quello che ne esca fuori».

La risata di tutti si spezza, e quello resta un attimo perplesso. Poi, rivolto agli altri, fa: «Facciamo così: proviamo la scena finale; poi dopo, quando il ragazzo se ne sarà andato, facciamo la scena con le attrici».

«Dunque, continuate?», chiede Gesù.

«Ecco! Ora ti faremo vedere il finale della storia. Poi, tornerai da tuo padre», risponde Flavio.

«Va bene».

Gli attori prendono posto sulla scena. Flavio cerca di riassumere gli eventi, affinché il loro piccolo spettatore possa comprendere meglio il finale:

«Dunque, in questa storia, dopo aver fatto vedere una scena domestica di una famiglia come tante, presentiamo un figlio, che, desideroso di fare le sue esperienze per il mondo, chiede al padre di dargli la parte di eredità che gli spetta… E sarebbe la scena che hai visto prima… Poi, se ne va in giro a sperperare tutto… Quando ha finito i soldi che aveva ricevuto, frequentando alcune donne – che era la scena che stavamo per provare prima e che faremo dopo – torna a casa, chiedendo perdono ai suoi genitori…».

E così la recita riprende.

L’attore giovane si porta verso il bordo della scena e, assumendo un’espressione contristata, declama a gran voce: «Quanti lavoratori salariati di mio padre hanno pane in abbondanza, io invece muoio di fame! Devo risolvere questa cosa. Andrò da mio padre e da mia madre, e dirò loro: “Padre, madre, ho peccato contro il cielo e davanti a voi; vi prego di riaccogliermi in casa, anche come semplice lavoratore”. Poi, quelli si commuoveranno e mi ridaranno il posto che mi compete… Altro che lavoratore!».

Così, la scena prosegue: l’attore giovane va davanti ai genitori e pronuncia a loro le battute dette poc’anzi.

Il padre, seduto, ascolta il discorsetto del figlio e poi dice: «Prima sei venuto a chiedermi i miei soldi in eredità prima ancora che io e tua madre fossimo morti! Poi, hai sperperato tutto quello che ti avevo dato, e non era poco! Ora, hai pure la faccia tosta di venire qui a chiedere perdono?». Poi, chiamando un servo dice: «Ehi tu, portami il bastone più duro che abbiamo, che questo svergognato deve avere una bella lezione!».

«Padre, ma non sei contento che io sia tornato sano e salvo da te?».

«No!».

Il padre preso il bastone comincia a rincorrere il figlio per la scena colpendolo ripetute volte. In quella entra in scena un altro attore, che impersona il fratello del malcapitato e chiede:

«Che succede qui?».

Gli risponde il servo: «È tornato tuo fratello a chiedere perdono e tuo padre lo sta perdonando… alla sua maniera…».

«Ah bene! Magari voleva farsi dare qualche altra cosa di soldi, prelevandoli dalla mia parte di eredità. Fai una cosa, porta un bastone pure a me, che gli do volentieri la mia parte!».

E così la scena del mimo finisce con il giovane picchiato dal padre e dal fratello.

Quando gli attori finiscono di recitare, Flavio si volge verso Gesù, convinto di trovarlo a ridere a crepapelle, come qualsiasi spettatore farebbe per una scena del genere. Invece, quello se ne sta serio serio a riflettere.

«Ehi, ragazzo, tutto bene? Abbiamo finito».

«Beh, sì, l’avevo capito che la storia era finita».

«E, allora, perché non ridi?».

«Perché mi sembra molto irreale come storia».

«Irreale? Ma se di figli come quello della nostra storia ce ne sono a migliaia in tutto il territorio dell’impero!».

«Infatti, io non dico che il personaggio del figlio non sia reale, ma quello del padre…».

«Cioè?», chiedono quasi in coro gli attori che sono sulla scena.

«Io non penso che la reazione del padre sia quella che si verificherebbe nella realtà… Cioè, la vostra trovata è sicuramente comica, e sono certo che stasera farà ridere un sacco di gente… Ma, ragazzi, parliamoci chiaro, se un vostro figlio se ne andasse via e vivesse una vita dissoluta, e se poi quello decidesse di tornare, voi non lo accogliereste nuovamente con gioia? Non fareste festa per il figlio che credevate perduto per sempre, che invece ritorna da voi chiedendovi di perdonarlo e di accettarlo di nuovo in casa?».

Gli attori, che vengono raggiunti anche dalle attrici rivestitesi, si guardano un po’ stupiti dalle parole di quel Gesù. Prende, poi, la parola Flavio:

«Ragazzo, io credo che tu abbia proprio ragione… La nostra trovata è divertente, fatta apposta per far scompisciare il pubblico… ma tu hai visto giusto: il padre dovrebbe abbracciare e perdonare il figlio e fare festa perché lo ha riavuto sano e salvo…».

Poi, dice ai suoi colleghi: «Ascoltatemi, stasera proviamo una modifica al nostro copione. Tanto, lo modifichiamo tutte le sere: tentar non nuoce. Proviamo a cambiare il finale come ha detto il piccoletto, e vediamo se il pubblico apprezza».

«Bene: voi continuate il vostro spettacolo, io ritorno da mio padre».

«Grazie del suggerimento per la nostra storiella… Forse, modificando il finale, avrà ancora più successo».

«Sì, sono sicuro, che anche tra una trentina di anni, questa storia sarà conosciuta in tutta la regione…».

«Secondo me, tra qualche anno, diventerai un bravo raccontatore di storie…».

«Ci stavo pensando anche io. Racconterò delle belle storie per far capire un po’ di cose importanti alle persone».

«Quando sarai famoso, verrò ad ascoltarti ovunque tu sia…».

«Va bene, Flavio, ma fino ad allora, non smettere di raccontarle tu, delle belle storie che insegnino qualcosa alle persone…».