Author : Adriana Letta

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Su “Orientamenti pastorali” il libro Pastorale Digitale 2.0

Riportiamo il testo della presentazione del libro di Riccardo Petricca “Pastorale Digitale 2.0”, a firma di Adriana Letta, pubblicata dalla rivista “Orientamenti pastorali”, mensile del C.O.P., Centro di Orientamento Pastorale n. 10 del 2016, a pag. 88, nella sezione “Invito alla lettura”.

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Riccardo Petricca, “Pastorale Digitale 2.0“, ed. Albatros, collana di saggi “Nuove Voci”, postfazione di Mons. Gerardo Antonazzo.

E’ un po’ la storia di una vocazione, quella raccontata dal libro di Riccardo Petricca “Pastorale Digitale 2.0”, semplice come è, in fondo, ogni vocazione – una chiamata ed una consegna a cui informare tutta la propria vita -, ma complessa come si rivela sempre, per il lungo ed anche tortuoso percorso umano per arrivare a comprenderla, a riconoscerla come propria e infine ad accettarla come definitivo stile di vita. L’A., ingegnere delle telecomunicazioni, attira immediatamente il lettore e lo coinvolge emotivamente nel tratto di esperienza personale di vita che racconta, quando lui, dopo anni di impegno in Azione Cattolica e Pastorale Giovanile, se ne allontana dopo un forte dispiacere cercando altrove, su diverse rotte, distrazioni e compensazioni. Ma dopo qualche anno, occasioni, accadimenti, persone lo riportano a guardare dentro di sé, a riscoprire ideali, sogni, motivazioni, impegni. Fino a ritrovarsi nel luglio 2013 a Rio de Janeiro come responsabile del gruppo diocesano alla XVIII Giornata Mondiale della Gioventù con il Papa: e lì ha la conferma che “nulla, assolutamente nulla accade a caso“, che non è solo, che quel Dio a cui aveva dedicato gli anni della sua giovinezza è lì accanto, lo aiuta e lo soccorre, gli vuole bene e lo chiama.

La vita cambia e ridiventa entusiasmante, si incontra e si relaziona con quella di tante altre persone e la sua non è più l’unica voce narrante nel libro, perché si intreccia con molte altre voci a formare un solo racconto, la sua vocazione non è più solo sua, ma viene condivisa da altri, sempre più numerosi, che si impegnano con lui in un nuovo servizio volontario e gratuito in diocesi: il servizio di Pastorale Digitale. Servizio che prende inizio, col favore e l’avallo del Vescovo Gerardo, nel marzo 2014 con un convegno dal titolo “Internet è un dono di Dio”. E pensare che molto prima, nel 1998, Riccardo, con due amici studenti di ingegneria come lui, aveva organizzato un convegno sull’ utilizzo di internet nella Chiesa: “il peggiore degli incontri mai visti ed organizzati”! Evidentemente i tempi non erano maturi. E neanche le persone. Ma l’intuizione della vocazione era già presente: la Vocazione digitale!

Il racconto personale non è un espediente per sedurre il lettore, ma assume un significato ulteriore a livello di formazione umana e culturale. Dice Mons. Gerardo Antonazzo nella postfazione: “Fare autobiografia  è formarsi; anzi, è formarsi due volte” e questo vale sia per la storia personale dell’Autore, sia per “l’autobiografia di una Chiesa particolare… che si lascia educare dalla sua storia raccontata, riflettuta e condivisa“.

Tuttavia, una lettura solo in chiave autobiografica o narrativa non esaurisce il valore e la portata del libro di Riccardo Petricca. E’ un libro particolare: pur essendo inserito in una collana di saggi, non è uno studio sociologico, psicologico o antropologico sull’uso diffuso e massiccio della comunicazione online. Non teorizza un’idea per dimostrarne la validità, non argomenta, non utilizza un linguaggio scientifico. Racconta come attorno a un’idea si è coagulato un gruppo che continua a crescere di numero, di capacità, di entusiasmo, di senso di responsabilità anche, un gruppo vario ma coeso dal contagio della fede cristiana, di cui vuol testimoniare la bellezza e la gioia, l’Evangelii gaudium. Tutti nel gruppo si impegnano a costruire qualcosa di positivo per gli altri, a condividere sogni, speranze, esperienze, a comunicare non da espositori neutrali, ma con il piglio del testimone toccato in prima persona dai fatti che narra, da quel qualcosa che infiamma il cuore e pervade la vita in modo gioioso e profondo.  In poche parole: non si accontentano di mettere in rete, vogliono mettere in comunione (questo lo slogan-stella polare dato dal Vescovo!), tra loro e con tutti gli altri internauti che possono entrare in contatto con loro attraverso il sito web o gli svariati social di cui la Diocesi si è dotata. La chat del gruppo su WatsApp non è di sole “chiacchiere”, è attraversata giornalmente da scambi profondi e positivi, che aiutano tutti: più importante della tecnologia, pur affascinante, è la relazione vera tra le persone, che va costruita giorno per giorno alla luce di Cristo. E questo significa crescita umana, culturale, spirituale.

Il recente seminario teologico-pastorale diocesano è stato una conferma che il cammino comunitario della Pastorale Digitale sta andando proprio nella direzione di quel nuovo umanesimo additato come urgente e necessario dal Convegno Ecclesiale nazionale di Firenze 2015, e segue le piste indicate dai cinque verbi: uscire (la PD percorre strade nuove per il Messaggio di sempre); annunciare (comunicare è annunciare!), abitare (si abita – da cristiani – l’ambiente digitale, come gli ultimi Papi hanno tanto raccomandato); educare (questa nuova strada educa sia gli operatori della PD sia gli utenti), trasfigurare (PD è una vita, la vita dell’autore e la vita di un gruppo che pian piano si trasfigura).

Dunque, il maggior merito di “Pastorale Digitale 2.0”, in fin dei conti, è di aver messo a disposizione di tutti una storia vera e reale, non solo virtuale, che sta dando risultati incredibili e inaspettati; di aver presentato un’esperienza pilota, un “orientamento pastorale”, un vero e proprio Progetto pastorale esportabile ed estensibile ad altre diocesi e comunità cristiane. Non uno studio ma un’esperienza pastorale viva, interessante e costruttiva, non contenuti nuovi, ma linguaggi attuali per dire ai giovani e non solo i contenuti di sempre. Tanto è grande tale convinzione, che alla fine del libro l’Autore si rivolge addirittura a Papa Francesco chiedendo “che questo servizio che facciamo per la Chiesa venga ufficializzato”.

Adriana Letta

 

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Carlo Acutis: il futuro “patrono di internet”?

Viviamo immersi in un reticolato di strade, fisiche e ideologiche. Il rischio di perdersi è sempre dietro l’angolo. Eppure, in mezzo a tale contesto disorganico, si eleva un’autostrada capace di portarci in Paradiso. È a disposizione di tutti, nessuno escluso.

Di questa “autostrada per il Cielo” ne è stato devoto precorritore in vita il giovane Carlo Acutis. A dieci anni dalla sua repentina scomparsa – avvenuta il 12 ottobre 2006 a causa di una leucemia fulminante – sono stati presentati oggi presso la Filmoteca Vaticana un docufilm e un volume su di lui.

L’incontro è stato introdotto da un spezzone del docufilm in cui interviene mons. Gianfranco Poma, parroco di Santa Maria Segreta, a Milano, la chiesa che frequentava quotidianamente Carlo per partecipare all’Eucarestia. Mons. Poma racconta di aver conosciuto il giovane all’interno della chiesa vuota, inginocchiato dinanzi al Tabernacolo. Avvicinatosi per chiedergli il motivo della sua devozione, si sentì rispondere da Carlo che l’adorazione eucaristica “mi consente di essere leggero per tutto ciò che la vita mi chiede”.

È dunque l’Eucarestia “l’autostrada per il Cielo” che Carlo ha percorso in modo leggiadro e solare lungo la sua giovane vita. Un concetto, quello di “autostrada per il Cielo”, che mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, ha definito nel suo intervento “straordinariamente teologico”.

Del resto – ha aggiunto – “l’Eucarestia è realmente, ogni volta che la celebriamo, una ‘autostrada per il Paradiso’”, perché ci consente di unirci al canto degli Angeli e dei Santi “sulla piazza d’oro” del Regno dei Cieli descritta nell’Apocalisse.

E non si tratta di speculazioni filosofiche, perché Carlo ci ha testimoniato – ha precisato Viganò – che l’Eucarestia è uno sacramento “per godere qui, nella nostra storia, la pienezza della vita eterna”.

Della testimonianza cristiana di Carlo se ne sono fatti interpreti Nicola Gori, giornalista presso L’Osservatore Romano, autore del libro “Un genio dell’informatica in cielo. Biografia di Carlo Acutis”, e Matteo Ceccarelli, regista del docufilm “La mia autostrada per il cielo – Carlo Acutis e l’Eucarestia”.

Quest’ultimo ha spiegato d’aver scoperto attraverso i racconti delle persone vicine a Carlo che “dentro questo ragazzo c’era qualcosa di straordinario”, una capacità fuori dal comune di trasmettere la fede e di “lasciare un segno negli sguardi e nelle vite” dei suoi coetanei.

Medesimo riscontro lo ha avuto anche Gori, il quale ha sottolineato d’esser rimasto colpito dalla fama e al contempo dalla semplicità di Carlo, che si declina in un modo di essere santo nelle piccole cose.

Quella che è la “santità del quotidiano” è un tema che è stato sviscerato anche da Giovanni Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano, che ha definito Carlo “un ragazzo dei nostri giorni, la cui storia non è astratta”, ma è “profondamente radicata nella realtà cittadina milanese”. Vian ha citato una serie di luoghi precipui dell’esistenza di questo Servo di Dio che sono patrimonio culturale d’ogni abitante odierno della città meneghina.

Secondo don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana, che ha prodotto sia il libro sia il docufilm, Carlo Acutis rimanda all’esempio di San Domenico Savio, anche lui un ragazzo, distintosi per fede e carità, allievo di don Bosco e salito agli onori degli altari nel 1954.

Presenti in sala anche i genitori di Carlo Acutis. La mamma, la signora Antonia, è intervenuta al termine dell’incontro ed ha testimoniato che la devozione per suo figlio è diffusa in tutto il mondo e in modo così esteso da aver costretto la famiglia “a chiedere aiuto ad una segreteria per far fronte alle tante e-mail”. La signora Acutis ha poi spiegato che il 24 novembre ci sarà la chiusura del processo diocesano di beatificazione, dopo di che la causa passerà a Roma e – ha sospirato – “vedremo ciò che la provvidenza ci riserverà”.

A margine, un commento di mons. Vigano che trae spunto dalle eccezionali competenze informatiche di Carlo: “Non abbiamo il patrono di internet. Chissà se Carlo Acutis, per grazia di Dio, una volta diventato Beato, possa esser riconosciuto anche patrono di internet…”. Nel groviglio della Rete, d’altronde, è forte il bisogno di qualcuno che interceda per indicare “quella autostrada”.

Fonte: Zenit – Posted by Federico Cenci on 26 October, 2016

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Udienza generale di Papa Francesco

Un nuovo Dicastero nella Chiesa: la “Segreteria per la Comunicazione”

Entra in vigore il 1° ottobre prossimo il nuovo Statuto con il quale Papa Francesco avvia la riforma delle comunicazioni sociali della Chiesa costituendo un nuovo Dicastero, la “Segreteria per la Comunicazione” che raggrupperà tutti gli Organismi finora attivi nei vari campi della comunicazione vaticana. Le premesse per questa “rivoluzione” Francesco le aveva messe già lo scorso anno con il Motu proprio “L’attuale contesto comunicativo” (27.06.2015) in cui preannunciava il riordino e la nuova conformazione delle comunicazioni nella Chiesa. E lo aveva fatto “dopo aver esaminato relazioni e studi, e ricevuto di recente lo studio di fattibilità, sentito il parere unanime del Consiglio dei Cardinali”. Non è un ghiribizzo, dunque, non è una decisione estemporanea, ma meditata e frutto di discernimento e consultazione di un Papa determinato.

Lo scorso 22 settembre è stato pubblicato lo “Statuto”,  approvato ad experimentum per tre anni, che regola il nuovo Dicastero, e formato di 5 capitoli e 19 articoli, l’ultimo dei quali è una norma transitoria, atta ad accompagnare il necessario tempo di riorganizzazione e di confluenza nell’unico corpo, di diversi Organismi: Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; Sala Stampa della Santa Sede; Servizio Internet Vaticano; Radio Vaticana; Centro Televisivo Vaticano; L’Osservatore Romano; Tipografia Vaticana; Servizio Fotografico; Libreria Editrice Vaticana. C’è, in questo elenco, tutta la storia della comunicazione vaticana, da quel lontanissimo 12 febbraio 1931, in cui Papa Pio XI, valendosi della “mirabile invenzione” di Guglielmo Marconi, indirizzò per la prima volta un radiomessaggio, preannuncio di Radio Vaticana, alle prime Commissioni istituite per “consulenza e revisione ecclesiastica dei films a soggetto religioso o morale” (1948) alla  Pontificia Commissione per il cinema, la radio e la televisione (1954), alle novità portate dal Concilio Vaticano II col documento Communio et progressio (1971) e, dal 1967, con la “Giornata mondiale delle comunicazioni sociali”, fino alle attuali modalità comunicative digitali. Sempre la Chiesa ha avuto un occhio attento a queste “meravigliose invenzioni tecniche”, come le chiamava già nel 1957 nell’ Enciclica Miranda Prorsus Pio XII, e aggiungeva che “benché frutti dell’ingegno e del lavoro umano, sono tuttavia doni di Dio, nostro creatore”.

Certamente i media della Chiesa universale oggi avevano bisogno di una mano riformatrice che li riordinasse sotto una direzione unitaria. E questo ha fatto Papa Francesco, partendo dall’osservazione dell’attuale contesto comunicativo, che definisce “caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori della convergenza e dell’interattività”, che richiede “un ripensamento del sistema informativo della Santa Sede”, e – dice nel Preambolo dello Statuto, “impegna ad una riorganizzazione che, valorizzando quanto nella storia si è sviluppato all’interno dell’assetto della comunicazione della Sede Apostolica, proceda verso una integrazione e gestione unitaria”.

E’ da ammirare questo modo di osservare la realtà, fare discernimento e, pur nel rispetto di quanto è stato fatto, guardare avanti ed essere aperti all’innovazione. Se non fosse così, la Chiesa rischierebbe di ritrovarsi assolutamente isolata e decontestualizzata dalla società, perdendo completamente le sue pecore e il “loro odore”, per dirlo con la metafora di Francesco.

Nel capitolo primo dello Statuto si definiscono natura e competenza della Segreteria della Comunicazione, sottolineando già nell’art. 1 §2, che l’intero sistema deve rispondere “in modo coerente alle necessità della missione evangelizzatrice della Chiesa”, e raccomandando l’unità con la Segreteria di Stato e la collaborazione con gli altri dicasteri.

Nel capitolo II si delinea la struttura del Dicastero, retta da un Prefetto, che “regge, dirige e sovraintende”, coadiuvato da un Segretario, e dai Membri, a cui si aggiungono i Consultori: tutti nominati ad quinquennium dal Papa. La Segreteria è articolata in cinque Direzioni paritetiche, ciascuna con un  proprio Direttore (sempre nominato ad quinquennium dal Pontefice): Affari Generali, Direzione Editoriale, Direzione della Sala Stampa della Santa Sede, Direzione Tecnologica, Direzione Teologico-Pastorale. I compiti delle singole Direzioni sono fissati nel Capitolo III. Il Capitolo IV tratta del Personale e degli Uffici, infine il Capitolo V, formato dall’art. 19, è la norma transitoria.

Alcune cose in particolare colpiscono: l’apertura a innovazioni tecniche e nuove forme di comunicazione possibili in futuro (v. art. 1 §3, art. 11 §2 e art. 9 §2); lo stile sinodale di confronto e collaborazione con altri dicasteri e organismi; l’attenzione costante alla dimensione universale della comunicazione della Santa Sede e al tempo stesso alle differenti condizioni di sviluppo delle Chiese particolari. C’è di che riflettere, davvero.

Che cosa la Chiesa Italiana e nello specifico noi della Pastorale Digitale della Chiesa particolare di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo possiamo far nostro e applicare di tante indicazioni della Chiesa universale? Ci sarebbe molto da dire, ma mi limito a due sottolineature, credo le più fondanti. Prima: tutto deve funzionare e concorrere a quella che è la missione evangelizzatrice della Chiesa. Questo è lo scopo principale che deve illuminare ogni notizia, ogni servizio informativo e giornalistico. Seconda: dobbiamo anche noi avere una “visione teologica della comunicazione a cui conformare il contenuto di ciò che si comunica” e quindi curare una formazione teologico-pastorale dei membri della Pastorale Digitale, attingendo anche a quelle “reti” che la Direzione Teologico-Pastorale della Segreteria intende tessere con le Chiese particolari e le associazioni attive nel campo della comunicazione (v. art. 12).

Riusciremo? Non so, ma con tutta umiltà dobbiamo lavorare per riuscire nell’intento. E saremo anche noi a “sensibilizzare il popolo cristiano affinché prenda coscienza dell’importanza dei mezzi di comunicazione, nella promozione del messaggio cristiano e del bene comune” (v. art. 12 §4).

Adriana Letta

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E’ online il nuovo sito diocesano – area istituzionale

Nel mondo digitale tutto corre veloce, un anno è come un secolo, ogni novità spodesta immediatamente quella precedente e la rende obsoleta mandandola in soffitta senza tanti complimenti. Non c’è più bisogno di aspettare il ricambio generazionale perché la spinta verso il nuovo procuri risultati. E’ quello che succede ormai da anni e con ritmo forsennato nelle tecnologie digitali. Perciò le parole d’ordine sono: innovare, velocizzare, ottimizzare, estendere a più persone possibile il buon uso di quelle “protesi comunicative” di cui non riusciamo più a fare a meno.

Anche per l’équipe di Pastorale Digitale, l’innovativo progetto di evangelizzazione della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, si presenta l’esigenza di un continuo, puntuale, efficace ed efficiente  aggiornamento. Per questo dal 9 agosto scorso è online il nuovo sito della Diocesi per quel che riguarda l’Area Istituzionale, che appariva un po’ indietro rispetto all’area delle news (Vita della Diocesi) e della Pastorale Digitale 2.0. I nostri ingegneri informatici hanno lavorato intensamente per il restyling rinnovando la veste grafica e rendendola più leggera e agile, e più vicina e armonizzata al sito di Pastorale Digitale. La nuova grafica dà la possibilità di mostrare in evidenza gli eventi prossimi e di iscriversi subito online per partecipare e inoltre dà con immediatezza l’idea di un’appartenenza sostanziale della chiesa diocesana alla chiesa italiana ed a quella universale: è parlante l’immagine del Vescovo Gerardo con Papa Francesco, e sono di immediata fruizione i rimandi attraverso link al sito della Cei e a quello di Avvenire. Sono stati rivisti, aggiornati e riposizionati i contenuti, su cui si stanno completando i controlli in corso d’opera. Sono stati inseriti i dati aggiornati dell’Annuario diocesano 2015, fornendo i riferimenti di e-mail e telefoni dei sacerdoti e degli uffici, perché i fedeli possano sentire fattivamente vicina la chiesa diocesana con possibilità di risposte anche immediate. Altro aspetto importante del restyling eseguito riguarda le tecnologie: il sito infatti risulta ora adatto e ottimizzato per tablet e smatphone.

La fruizione del sito migliorata e resa più completa e immediata ovviamente non riguarda solo la tecnica, ma è stata studiata perché fosse coerente al Piano pastorale generale della Diocesi, ricordando che per la Pastorale Digitale non è importante mettere semplicemente in rete ma in comunione!

Fare tale operazione ha comportato per la Pastorale Digitale prima di tutto una riflessione profonda perché, a ben guardare, la voglia di innovare è un bisogno antico quanto l’uomo, perché è la vita stessa che cambia e si rinnova in continuazione e soprattutto perché noi sappiamo che c’è Qualcuno che – sempre – “fa nuove tutte le cose”! E dunque, prima di mettere in campo la tecnica, occorreva prestare attenzione alle persone, osservare i comportamenti degli utenti del sito diocesano e dei social, non “accomodarsi” sull’esistente e sul già realizzato, ma andare alla ricerca del meglio, aggiornare coloro che ci lavorano con passione e coloro che attingono alla nostra fonte, o meglio ai nostri canali che a loro volta attingono, e debbono attingere, sempre e solo all’Unica Fonte: Gesù Cristo. Ciò comporta incoraggiare e aiutare gli utenti, anche quelli più recalcitranti alle novità, all’uso di tecnologie sempre più facilitate, immediate e fruibili, ricordare sempre a se stessi e ai fruitori della nostra comunicazione che tutto ha senso se è fatto con fede, con speranza e con carità, che non siamo maestri (il Maestro è uno solo!) e non dobbiamo comunicare noi stessi, ma condividere la perla preziosa che non per nostro merito abbiamo trovato sulla nostra strada e gioire se altri la trovano e prendono ad amarla.

E’ questo che ci ha fatto scoprire che “velocizzare, ottimizzare, facilitare, estendere e mettere in comunione” sono verbi che non sono affatto in contrasto con i famosi 5 verbi del grande Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze 2015, anzi sono in armonia con essi, perché questi verbi ci costringono ad uscire da noi stessi per ricercare come “creare ponti” e migliorare la comunicazione, che è l’ annunciare, ci fanno abitare pienamente il continente digitale ma anche la vita reale dei nostri fratelli, ci spingono ad educare all’uso dei media da cristiani, ci aiutano a trasfigurare la vita ponendoci come obiettivo il “mettere in comunione”.

Adriana Letta

 

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Comunicazione e misericordia. Un incontro fecondo

Alla vigilia della 50ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Comunicazione e Misericordia. Un incontro fecondo è il titolo del volume e il tema del Messaggio di papa Francesco in occasione della 50ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà l’8 maggio 2016. Il testo del messaggio, pubblicato il 24 gennaio 2016, è stato l’ispiratore di quattordici brevi saggi attraverso i quali la giornalista vaticanista Vania De Luca e alcuni docenti della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana (Vincenzo Barba, Simonetta Blasi, Maria Emanuela Coscia, Teresa Doni, Cristiana Freni, Mauro Mantovani, Maria Paola Piccini, Antonino Romano, Vittorio Sammarco, Roberto Scardella, Paola Springhetti, Carlo Tagliabue, Matelda Viola), hanno commentato il Messaggio di papa Francesco alla luce della propria esperienza accademica e professionale nel campo delle comunicazioni sociali.
Questa pubblicazione è il quinto volume di Percorsi di Comunicazione, un progetto editoriale e culturale avviato nel 2013 dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana, con l’intenzione di proporre riflessioni e approfondimenti nel campo della comunicazione. Un cammino di conoscenza e aggiornamento, nella consapevolezza che «la comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità» (Francesco, Comunicazione e misericordia).

Le curatrici
Maria Emanuela Coscia è docente presso la facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana. È esperta in didattica museale e nell’ideazione di progetti di Educational Marketing. Per diversi anni si è occupata di Media Education tenendo corsi di formazione a studenti, docenti, genitori ed operatori della pastorale. È stata consulente di Comunicazione e Raccolta Fondi per diverse realtà internazionali ecclesiali. Per il volume Reti sociali: porte di verità e fede scrive il saggio Partecipazione ed autenticità. Comunicare se stessi nella rete.
Teresa Doni è docente presso l’Università Pontificia Salesiana, dove insegna nella Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale e nella Facoltà di Teologia. Presso la Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino “Angelicum” insegna Istituzioni di Sociologia e Sociologia della Religione. È Socio Fondatore e Segretaria dell’Accademia di Scienze Umane e Sociali (ASUS), dove, dal 2010, coordina il Master universitario di I livello in Mediazione Interculturale e Interreligiosa e il Corso Universitario di Alta formazione in Comunicazione e Mediazione Interculturale, organizzati in partenariato con la Facoltà di Filosofia e la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana.

Comunicazione e misericordia. Un incontro fecondo
A cura di: Coscia Maria Emanuela – Doni Teresa
Editrice: LAS
Pagine: 254
Prezzo: € 18

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Gender e diritto naturale

Ancora un intervento di Enzo Teodori per stimolare la riflessione su un tema di scottante attualità

I fautori del “gender” accusano noi cattolici di mistificare la realtà allorché affermiamo che i nostri valori sono fondati sul diritto naturale. I “genderini” motivano il loro j’accuse denunciando, in primo luogo, che in natura le realtà non sono uniformi e omologabili, adducendo come esempio l’omosessualità riscontrata in alcuni animali; in secondo luogo, e soprattutto, spiegando che la legge naturale è quella portata alla luce da Darwin ovvero una legge fondata sulla selezione naturale, in cui si afferma l’individuo più attrezzato ad adeguarsi ai cambiamenti ambientali (con un’accezione ampia del concetto di ambiente). La civiltà, secondo i genderini, è una conquista dell’uomo ed è avanzata nella misura in cui va oltre la selezione naturale con il riconoscimento dei diritti anche degli individui più svantaggiati nell’ambiente sociale. Coerentemente con questa visione, l’accusa ai cristiani, oltre a quella di infondatezza del ricorso al diritto naturale, è anche di incoerenza con gli insegnamenti evangelici. Infatti, si rimprovera di offuscare la compassione per i più svantaggiati e di violare il comandamento dell’amore al prossimo, proprio quell’amore reciproco che le coppie omosessuali reclamano come diritto. Alcuni genderini argomentano le accuse di incoerenza in modo più raffinato, ricorrendo al concetto di soprannaturale. Sulla base di queste argomentazioni, Gesù ci ha rivelato la dimensione e l’orizzonte della grazia, che appartiene all’ordine del soprannaturale. La civiltà del regno dei cieli consisterebbe, dunque, nell’andare oltre la natura e il diritto naturale per affermare una legge superiore, quella dell’amore, che comporta la liberazione e l’emancipazione di ogni persona e dei suoi diritti.

A mio avviso, la posizione di noi cattolici dovrebbe fondarsi sulla rivelazione e sulla luce che essa fornisce al diritto naturale. Noi crediamo che l’unico matrimonio sia quello tra uomo e donna, perché Gesù ci ha rivelato che esso corrisponde al disegno di Dio. Gesù, che è venuto a liberare gli oppressi e proclamare un tempo di grazia, se ci fossero state altre forme di unione gradite a Dio, lo avrebbe rivelato. Noi ricorriamo al diritto naturale, perché lo intendiamo come disegno originario di Dio, in una natura dove è presente un ordine, seppur destrutturato dal peccato, dato dal Logos. Il soprannaturale non è una giustapposizione dall’alto di una legge divina, ma una esaltazione e un andare oltre dell’ordine naturale progettato da Dio, un trascendersi, che si manifesta nel dare la vita e nella reciprocità del dono, frutti dell’innesto nella vita trinitaria.

La mia impressione è che, per paura di essere considerati integralisti, argomentiamo sul diritto naturale, omettendo la luce che su di esso getta la rivelazione. Di conseguenza, esprimiamo un concetto di diritto naturale corrispondente ad una natura presunta “benigna”, che appare palesemente ingenuo e infondato, sulla base della realtà storica. L’argomentazione che la sessualità in natura è finalizzata alla procreazione e, quindi, necessariamente fruibile solo da individui di sesso diverso, non giustifica in modo univoco che il valore unitivo connesso alla sessualità sia appannaggio esclusivo di individui eterosessuali. La civiltà dell’amore promossa dai genderini privilegia l’aspetto unitivo rispetto alla procreazione, considerandolo altrettanto naturale di quello procreativo, con le sue esigenze primordiali di comprensione, mutua assistenza, affettività reciproca. Solo affermando senza remore e senza omissioni la nostra visione rivelata del diritto naturale possiamo manifestare la nostra identità culturale senza prestare il fianco alle accuse di debolezza delle argomentazioni e di incoerenza.

Poggiandosi sugli insegnamenti di Gesù, possiamo serenamente manifestare il nesso tra misericordia e condotta. La misericordia esprime l’amore viscerale, materno, di Dio verso l’uomo, che si prende cura delle persone nelle loro situazioni concrete. Come una madre, Dio si preoccupa che il comportamento di un suo figlio non comprometta la sua realizzazione e la sua felicità. Come una madre premurosa, esplica la sua missione educativa rivelando al figlio anche le condotte positive e quelle negative, e non solo gli atteggiamenti interiori.

Dialogare a partire dalla rivelazione ovviamente non implica convincere le persone. I genderini rimarranno fermi nelle loro opinioni. Noi con pace manifesteremo le realtà della civiltà del regno di Dio e la pace non accolta tornerà a noi. Da cittadini del regno nel mondo, accetteremo le scelte democraticamente effettuate. Nella civiltà illuminista noi siamo minoranza, come i fratelli che ci hanno preceduto ed hanno fatto la storia delle origini del cristianesimo nell’impero romano. Dialogare vuol dire anche evidenziare i limiti delle posizioni altrui. Non pochi illuminati genderini si troveranno in difficoltà quando si troveranno di fronte alla richiesta del 10% della popolazione di introdurre nell’ordinamento giuridico la poligamia, in nome del diritto di vivere in un modello di famiglia secondo le proprie convinzioni. Perché tutelare le minoranze omosessuali e quelle religiose no? Nella pluralista civiltà genderina ognuno ha diritto a vivere, purché consenziente, secondo i modelli relazionali che più gradisce. Per la cronaca, già da diversi anni, negli illuminatissimi e progreditissimi Paesi Bassi, esiste il partito dei pedofili, perché chi l’ha detto che i bambini non gradiscano le “attenzioni” degli adulti… è una questione culturale!! E, d’altra parte, se l’aborto è talmente scontato… Non sarebbe male anche evidenziare come il divorzio abbia determinato che la precarietà sia ora un elemento strutturale nella vita di coppia; non ha, invece, eliminato la questione della violenza sulle donne, di cui il femminicidio non è che la punta dell’iceberg. (Aborto, divorzio, eutanasia, non sono specificamente temi gender, ma la loro approvazione si basa sul principio che è alla base del gender: l’assolutizzazione dei diritti soggettivi).

Come cittadini del regno nel mondo siamo consapevoli di essere lievito e sale. La virtù della speranza ci dà la pace per la convinzione che Dio è all’opera, che tutto concorre al bene dei suoi figli, nessuno dei quali andrà perduto. La compassione misericordiosa al cospetto di tante nefandezze non ci lascia indifferenti e ci induce ad essere più zelanti missionari. La testimonianza di famiglie con uno stile di vita coerente con gli insegnamenti evangelici è il segno più tangibile della bellezza e della bontà della civiltà cristiana.

Il dibattito con i fautori del gender non si limita alla discussione sul diritto naturale, e verte anche su questioni come l’applicazione del principio di uguaglianza e del diritto civile, ma questi sono altri temi.

Enzo Teodori

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Cittadini del Regno di Dio e cittadini del mondo (Seconda parte)

Proponiamo ai lettori la seconda e ultima parte di questa profonda ed interessante riflessione sul ruolo dei cristiani oggi, con un particolare riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa e alle sfide di oggi che attendono il cristiano, come “cittadino del regno nel mondo”.

La dottrina sociale della Chiesa
L’enciclica Laudato si’ affronta le principali questioni attuali alla radice. “L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale” (48).

Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo” (50).

Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente” (56).

Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi” (75).

“Questo insegna il Catechismo: « L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre” (86).

D’altro canto, è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi princìpi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi” (136).

Il magistero ordinario è l’interpretazione attuale dell’opera di Dio nelle vicende umane. Esplica le linee guida del Regno nel mondo nell’oggi. Spesso nei dibattiti pubblici si sente l’accusa rivolta all’attuale pontefice di “buonismo”, di fomentare la perdita di tradizioni, di non salvaguardare la civiltà cattolica. Si pongono come giustificazioni esempi del passato; c’è chi ripropone lo spirito delle crociate, perché avallate da papi e da santi; si invoca l’atteggiamento di santa Giovanna d’Arco di fronte al nemico che avanza confuso tra gli immigrati, appunto perché santa. Nei pochi estratti dell’enciclica si evidenzia che il papa Francesco non esita a denunciare i mali alla radice e le correlate responsabilità umane. I papi hanno avallato le crociate in un determinato momento storico, proprio perché il magistero sociale si riferisce ad un oggi, a differenza del magistero sulle verità rivelate. Pur tenendo conto della diversa cogenza delle varie forme di magistero, (quelle dogmatiche sulle verità rivelate hanno ovviamente la preminenza) a tutte si deve obbedienza. D’altra parte, è contradditorio invocare l’autorità di un magistero del passato nei confronti di quello presente. Il magistero o è autorevole sempre o è opinabile sempre.

Cittadini del regno e del mondo
Il cristiano è chiamato a rispondere responsabilmente alle tremende sfide di oggi sia come cittadino del regno che come cittadino del mondo o, più correttamente, come cittadino del regno nel mondo. Egli effettua il discernimento delle sue scelte politiche sia nel merito che nel metodo.

Per quanto riguardo il merito delle scelte ovvero il contenuto, il cittadino del regno ha due poli di riferimento: la dottrina sociale della Chiesa e la sua coscienza. La dottrina definisce le linee guida e le priorità, ma non può ovviamente indicare ogni scelta concreta, come ad esempio quale schieramento o partito politico votare (almeno nelle democrazie compiute, mentre può dare indicazioni in tal senso in presenza di partiti i cui programmi sono all’insegna della violazione dei diritti fondamentali) oppure se è preferibile optare in un determinato momento per l’una o l’altra priorità; anche perché il magistero è rivolto a tutti i paesi del mondo con situazioni diversissime tra loro. Pertanto, vi è uno spazio della decisione personale secondo coscienza.

Per il cittadino del regno altrettanto importante del contenuto è il metodo, il modo, lo stile di vita, attraverso il quale si promuovono le scelte politiche. Le modalità afferiscono sia all’atteggiamento interiore che alle relazioni interpersonali. A ben vedere, nella realtà, noi non incontriamo i valori ma le persone. La politica si attua attraverso le relazioni, la costruzione (o la distruzione) di rapporti. Papa Francesco in Africa non ha incontrato la povertà, ma i poveri di Bangui. Al famigerato “km 5”, non ha fatto salire sulla papa mobile l’islam, ma l’imam della locale moschea. Il cittadino del regno è, dunque, chiamato a far politica, manifestando le priorità del suo tempo, edificando in tal senso i rapporti in famiglia, nel quartiere, nel luogo del lavoro, in parrocchia, nell’associazione, eventualmente in un partito.

L’anno giubilare della misericordia riveste una forza dirompente per la scelta del metodo politico.

L’attuale contesto è caratterizzato da tensioni laceranti. Gli attentati, i combattimenti ormai sempre più vicini, l’enorme afflusso di migranti, il prendere coscienza della portata del disastro ambientale, generano insicurezza e fobie. Esse sono i peggiori nemici della costruzione di rapporti personali edificanti, perché conducono alla scelta di muri anziché di ponti.

In questo senso, il giubileo è una possibile pietra d’inciampo per tanti cristiani. Papa Francesco, nell’angelus precedente l’apertura della Porta Santa della basilica di san Pietro, ci ha fornito la chiave per vivere l’anno giubilare: avere gli stessi sentimenti di Cristo in ogni circostanza. Infatti, il motto giubilare è: “misericordiosi come il Padre”.

Cosa ha a che fare il metodo politico con la misericordia? La misericordia è il cuore materno di Dio, che si adopera instancabilmente per radunare i suoi figli e che, come ogni madre, si preoccupa di più di chi è più sulla strada della perdizione. Avere gli stessi sentimenti di Dio nelle laceranti attuali tensioni è, dunque, la sfida del giubileo. La misericordia è più del rispetto dell’avversario politico, già chiaramente indicato dal magistero (cfr.GS 28). La misericordia è più del rispetto dei canoni del dialogo. La misericordia è attenta alla storia concreta dell’interlocutore, alle sue vicissitudini, a come ha maturato le sue scelte più significative e al suo metodo politico. La misericordia è coraggiosa e ottimistica, perché fonda il suo agire sulla fede che Dio regna ed edifica i rapporti di chi è sintonizzato con il suo cuore e con i suoi sentimenti. Egli è il buon samaritano, che si fa prossimo nelle storie di ciascuno, ed è il buon pastore, che guida ciascuno attraverso la sua storia personale verso il bene comune e la casa comune.

Il cittadino del regno è consapevole che la sapienza di Dio è donata ai poveri di spirito. Chi non è povero di spirito non può essere misericordioso come Dio. Qui sta l’inciampo. In pratica, la “ricchezza di spirito” equivale a dare alla propria esperienza di vita il posto centrale nelle scelte che operiamo, mettendo gli insegnamenti di Gesù e la sua sequela tra i tanti nostri punti di riferimento: la mia idea di società, dell’altro, della famiglia, dell’educazione, del lavoro, dell’ambiente, ecc. Il povero di spirito mette al centro del suo agire Gesù, sempre e in ogni circostanza, e fa l’atto supremo di affidare i suoi diritti alla Provvidenza, azione di Dio nella storia.

Il cittadino del regno nel mondo considera umiltà e misericordia le chiavi per sintonizzarsi con la Provvidenza, e, dunque, la base per un metodo politico efficace. In pratica, la misericordia determina che egli effettui e promuova le sue scelte politiche con amore, gioia, pace e tutti i doni e i frutti dello Spirito Santo, con la fiducia nell’opera di Dio, che sempre concorre al bene, anche nelle sconfitte.

Enzo Teodori

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Cittadini del Regno di Dio e cittadini del mondo (I Parte)

Proponiamo ai lettori la prima parte di una profonda ed interessante riflessione sul ruolo dei cristiani oggi, con un particolare riferimento alla Politica. La premessa è stata pubblicata anche nella rubrica “Pillole di formazione”.  Sarebbe bello se qualche lettore facesse pervenire qualche risonanza, osservazione, riflessione, in modo da avviare un confronto a più voci.

Premessa

Il Giubileo irrompe nell’attualità, caratterizzata dalla guerra e dal disastro ambientale in corso. Si tratta di questioni che comportano scelte laceranti e il Giubileo con la sua istanza di misericordia può essere pietra di inciampo per molti cristiani, in particolare i laici, chiamati per vocazione “a cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”. (LG 31).
Il regno di Dio ha una dimensione storica. Questo era evidente per il popolo eletto che ha ricevuto l’antico testamento, dove si rivela che l’Alleanza con Dio si fonda su un preciso evento storico: la liberazione dalla schiavitù in Egitto. La dimensione storica del Regno è un po’ meno evidente per il popolo eletto che riceve il nuovo testamento, in cui si rivela che la rinnovata Alleanza si fonda su un avvenimento storico, la morte per crocifissione di Gesù, e uno metastorico: la sua resurrezione. Lo stesso Gesù ci avvisa che il Regno si diffonde in una dimensione di nascondimento, rivelato ai piccoli e nascosto ai dotti. (cfr Mt 11,25-26). Il Magnificat ci illustra il contrasto tra la logica dell’agire di Dio nella storia e quella del mondo. La festa di Cristo Re ci conferma che Dio regna fattivamente. Il Regno si diffonde con le modalità del lievito, che, nascosto tra i cibi, permette loro di giungere a “maturazione”.
Il cristiano laico è chiamato, quindi, a vivere una doppia cittadinanza, come discepolo e come appartenente ad una comunità nazionale. Il giubileo è la cartina al tornasole per verificare se tale convivenza è armoniosa, integrata, o giustapposta e lacerante.

La Politica
“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune”. (EG 205)
La politica è determinante per “trattare le cose temporali e ordinarle”. Essa, infatti, configura l’ordinamento giuridico, attraverso l’attività legislativa; stabilisce le modalità dell’amministrazione della res(cosa)publica; opera scelte decisive per l’intera collettività come la decisione di entrare in guerra. È notizia recente l’impossibilità di un giudice di applicare le misure cautelari ad un gruppo fortemente indiziato di collusione con il terrorismo Daesh per mancanza dei presupposti giuridici. In questi giorni, il primo ministro francese Valls si sta adoperando per introdurre nell’ordinamento una norma che preveda l’arresto preventivo, basato su indizi.
È la politica che gestisce le risorse umane e finanziarie pubbliche. Date le risorse limitate, si impongono delle scelte alternative: dobbiamo investire denaro per ridurre le emissioni inquinanti, aiutando gli imprenditori ad adeguare gli impianti, o destinarlo al sostegno al reddito delle famiglie? Diamo la priorità al recupero dal dissesto idrogeologico o all’ammodernamento delle infrastrutture? (tutto ciò al netto ovviamente della constatazione della mancanza di una congrua spending review nonché di una clientelare gestione del personale della PA).
Riguardo alla guerra: è opportuno bombardare i territori del califfato o affidarsi esclusivamente alla diplomazia? Sotto il profilo morale, qui si tratta di scegliere se effettuare un bombardamento che uccide certamente dei civili (Raqqa è una città con oltre 200.000 abitanti per cui è impossibile non colpire i civili), ma che evita ulteriori stragi di popolazioni per la pulizia etnica, così come nel caso storico precedente in Bosnia, avallato dall’ONU. (tutto ciò al netto ovviamente della constatazione della sporcizia delle alleanze internazionali il cui principale obiettivo è il potere con annessi giacimenti petroliferi).
Le opzioni politiche passano attraverso la scelta dei propri rappresentanti. Sia destra che sinistra sono portatrici di valori autentici, come il rispetto della legalità, la valorizzazione delle proprie tradizioni, in un campo, e la solidarietà, la giustizia sociale, nell’altro; tutti valori “lievitabili” dalla grazia e dalla morale cristiana. In una società fluida, lo divengono anche gli schieramenti politici e non è più segno di incoerenza il votare alternativamente destra e sinistra, nelle cosiddette democrazie compiute. Così come non sono da biasimare coloro che vantano una forte militanza in un determinato schieramento, come gli ex PCI, poi Rifondazione o SEL, o minoranza PD, o come gli ex MSI, poi Alleanza Nazionale, poi Fratelli d’Italia. Si comprende che queste persone non accettino la fluidità, perché la loro militanza significa tante storie, tante battaglie, tante amicizie.
Un’ultima questione lacerante ci permette di comprendere la centralità della politica: l’aborto. Essa non è più attuale per i gestori dei mass media. Qualche settimana fa su diversi quotidiani si commentava con soddisfazione il dato che in un anno ci sono stati in Italia meno di 100.000 aborti. Centomila innocenti che non hanno né magliette ricordo né una marsigliese da dedicare, come se il bisturi di un chirurgo fosse meno cruento di un kalashnikov. È lecito per un cristiano votare partiti apertamente favorevoli all’aborto? L’aborto è stato approvato con un referendum; da quel momento, è divenuto, a mio avviso, un tema trasversale ai partiti, con l’opzione della obiezione di coscienza di ogni parlamentare, a qualunque schieramento appartenga. Non si tratta più, ora, di decidere sulla sua abolizione, ma sulla implementazione della legge esistente. L’aborto resta un male assoluto, non negoziabile, non è applicabile neppure la legittima difesa per la madre in pericolo, poiché non vi è l’ingiusto aggressore. Si tratta, quindi, di gestire una situazione di ingiustizia. Il buon samaritano avrebbe preferito soccorrere il viandante con un adeguato servizio pubblico di assistenza, ma nella vita reale ha dovuto provvedere con i mezzi a disposizione. Non si tratta di scegliere il male minore, ma di aiutare delle persone concrete in situazioni concrete, chiedendo ai propri rappresentanti politici di dedicare adeguate risorse al sostegno delle maternità difficili, considerandole una priorità assoluta, che viene prima della salvaguardia dell’ambiente e della lotta al terrorismo, stando oggettivamente al numero delle vittime.

Enzo Teodori

La seconda parte verrà pubblicata la prossima settimana.

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Rodi naufragio

Una strage silenziosa nel Mediterraneo che continua

Comunicato stampa

“Continua una strage silenziosa nel Mediterraneo, con i morti che sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014: da 1600 a oltre 3200. Continuano le morti di bambini, dimenticate: oltre 700 dall’inizio dell’anno”, denuncia oggi il Direttore Generale della Fondazione Migrantes, Mons. Gian Carlo Perego.

“L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti. L’operazione europea Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’operazione italiana Mare Nostrum – continua Mons. Perego -: una vergogna che pesa sulla coscienza europea. L’Europa sembra ora – a fronte della minaccia terroristica – giustificare i muri e la chiusura delle frontiere, oltre che il disimpegno nel creare canali umanitari che avrebbero potuto oltre che salvare vite umane, combattere il traffico degli esseri umani, una delle risorse del terrorismo”. “L’accoglienza ai nostri porti, anziché in centri di accoglienza aperti sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli ‘hotspots’, come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20.000 persone arrivate al porto e trasferite nel Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite. La paura insieme alla convenienza sembra far ritornare indietro di anni il cammino di protezione internazionale costruito in Europa”.

Continua invece l’accoglienza dei richiedenti asilo e protezione internazionale che, dopo l’appello di Papa Francesco del 6 settembre scorso, è cresciuta nelle strutture ecclesiali, nelle parrocchie e nelle famiglie, conclude il direttore della Migrantes realizzando “un’accoglienza diffusa, costruita insieme, senza conflittualità. Un’accoglienza intelligente che aiuta anche a conoscere volti e storie di sofferenza e a costruire, in questo tempo di Avvento, percorsi e progetti di cooperazione internazionale. Ancora una volta la Chiesa costruisce un gesto concreto, che supera pregiudizi e contrapposizioni ideologiche, che accompagna le persone, nella prospettiva di una ‘cultura dell’incontro’ che sola rigenera le nostre città”.
Raffaele Iaria
Fondazione Migrantes