n. 39 (11/09/2017)
“Buoni e cattivi”
Sembra che il mondo sia più che mai diviso tra buoni e cattivi, un po’ come si faceva sulla lavagna della scuola: i cattivi sono quelli che commettono tutte le nefandezze che rendono la Terra un posto meno bello e meno sicuro; i buoni sono quelli che non fanno altro che sparlare dei cattivi.
In realtà il problema della evidente confusione tra le intenzioni (magari anche lodevoli) e le reali azioni (il più delle volte molto meno lodevoli) – tanto in uno scenario macroscopico, quanto nella più ordinaria quotidianità – nasce dal fatto che la distinzione tra bene e male, o buoni e cattivi se preferite, non è per niente netta, come di solito si è portati a credere, ma che siamo tutti in un’enorme fascia grigia, nella quale ci muoviamo convinti di essere buoni e pacifici, quando invece il nostro agire non ha in fondo in fondo nulla di buono o di pacifico.
Scorrendo le pagine dei giornali, o dando uno sguardo alla televisione, siamo continuamente informati di attentati, stragi, agguati di camorra, e violenze di ogni tipo: insomma, siamo immersi in un clima continuo di guerra, che contraddice in maniera sfacciata le chiacchiere di pace che invece sentiamo blaterare da più parti.
Non va certo meglio nei rapporti interpersonali, quelli in famiglia, sul lavoro, per strada: anche in questo caso bisogna onestamente riconoscere che viviamo in un continuo clima di reciproco biasimo e di strisciante violenza. Perché, è bene dirlo, “violenza” non è soltanto sparare una fucilata alle spalle di qualcuno, o farsi esplodere in una metropolitana nel nome di Allah o di chissà quale altro dio; è anche comportarsi in maniera sgarbata verso il vicino, buttare la propria immondizia dove capita, pretendere dagli altri comportamenti accomodanti che invece noi ci guardiamo bene dal mettere in pratica…
I cristiani, o sedicenti tali – me stesso in testa –, sono campioni in questo tipo di condotta. Lo sono oggi ma lo erano anche duemila anni fa: Gesù stesso ammonisce i suoi contemporanei che guardano la pagliuzza nell’occhio del prossimo, senza accorgersi della trave che è nel loro occhio. Questo tipo di atteggiamento, proiettato in una chiave di responsabilità nazionali e internazionali, fa sì che ci si trastulla allegramente con bombe nucleari capaci di annientare la razza umana…
Eppure, non ci sarebbe nemmeno bisogno di scomodare l’insegnamento di Gesù per capire che comportarsi nella dissennata maniera con cui l’umanità si rapporta nelle grandi e piccole questioni, sia una cosa abbastanza idiota, considerato che ogni atto di violenza contro l’altro, è un mettere a rischio innanzitutto se stessi.
Ma tant’è che gli umani sono abituati a pretendere dagli altri la soluzione a problemi che hanno creato loro stessi, che un seicento anni prima di Gesù, bisognava far capir loro che ognuno è custode dell’altro: Ezechiele (33, 1.7-9) lo dice con una chiarezza disarmante.
Sul tema, credo che uno dei fraintendimenti più diffusi, sia quello legato alla beatitudine riguardante i costruttori di pace (Mt. 5, 9). Nell’elencare i beati, Gesù definisce tali anche gli operatori di pace «perché saranno chiamati figli di Dio». Il fraintendimento nasce nel momento in cui si crede che l’operatore di pace sia colui che ama vivere tranquillamente, la persona pacifica, quella che camuffa da amore per il mondo e per il prossimo, un sostanziale disinteresse verso ciò che lo circonda.
Questi sono quelli che egoisticamente ricercano il quieto vivere, e poco importa se fuori dalla loro porta, magari qualcuno sta violentando una bambina, o sta appiccando il fuoco ad un barbone, o sta sversando uranio in un fiume. Non commettono in concreto nessuna azione cattiva, ma nemmeno fanno nulla per mettere in pratica un’azione buona.
E gli operatori di pace non sono nemmeno quelli che si limitano a parlare di pace (non che parlarne non serve, sia chiaro, ma è insufficiente senza l’azione concreta), o a ricordarsi del valore della fratellanza e della solidarietà quando c’è da cantare ad un concerto o protestare contro il taglio di una quercia secolare, o altre cose simili.
I costruttori di pace – i veri “buoni” – sono coloro che “fanno”, che agiscono in ogni modo lecito per costruire la pace, fosse pure all’interno del loro condominio. Il che è chiaro da ciò che dice Gesù: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi» (Gv 14, 27). Dunque, c’è pace e pace: la pace del mondo è quel modo di essere che non evita le brutture che ci circondano, ma ci fa credere la responsabilità delle cose che non vanno è sempre altrove, di un altro, ma non di certo nostra. La pace vera, invece, quella di cui parla Gesù, è una concreta azione per affermare la giustizia dei comportamenti.
Giustizia che per il cristiano coinciderà con l’amore verso Dio e verso il prossimo alla stessa maniera in cui ama se stesso; per il laico coinciderà con la fedeltà ai suoi valori morali di uguaglianza, libertà, coerenza. Ma in entrambi i casi, se veramente gli umani rifuggissero la pace del mondo per edificare la vera pace, e cioè si comportassero da operatori di pace, sarebbero beati già solo per il fatto di uscire da quella di uscire dalla “zona grigia” in cui non si capisce bene cosa è buono e cosa cattivo, e iniziassero a definire nella maniera giusta ciò che è bene e ciò che non lo è, senza confusioni, schermature e ipocrisie di sorta…
Vincenzo Ruggiero Perrino