SACRA FAMIGLIA
di Vincenzo Ruggiero Perrino
Episodio 20
Sepphoris, anno 1 a. C.
Gesù ha appena finito di prepararsi per uscire e raggiungere il padre a Sepphoris. Il programma della giornata prevede che lui e suo cugino Giovanni andranno a Sepphoris; passeranno le ore pomeridiane dai nonni; e, quando sarà ora di tornare a Nazareth, faranno la strada del ritorno con Giuseppe, che nel frattempo avrà finito di lavorare al cantiere.
Giovanni giunge puntuale e insieme cominciano a percorrere la strada per la cittadina in ricostruzione.
«Mi fa piacere andare a Sepphoris», comincia a dire Giovanni.
«Perché?».
«Rispetto a Nazareth è una grande città. C’è tanta gente, e sicuramente potremo incontrare nuovi amici. Cioè, di sicuro non ci annoieremo».
«A Nazareth ti annoi?».
«Beh, converrai che come città Sepphoris è più grande e più bella».
«Sì, ma io ti ho chiesto se a Nazareth ti annoi».
«A volte sì: vediamo sempre le stesse persone, facciamo sempre le stesse cose, ripetiamo sempre gli stessi discorsi».
«Le persone non sono mai le stesse ogni volta che le vedi e ci parli, né ripetono sempre le stesse cose, e anche quando fanno gli stessi discorsi, bisogna cogliere sempre la verità in ciò che dicono…».
«Dici?».
«Dico, dico! E, poi, se tu guardi con occhi nuovi tutto ciò che accade e ognuno che incontri, non ti annoi né a Nazareth, né a Sepphoris, né ad Atene!».
«Ma di sicuro a Nazareth non c’è il via vai di gente che c’è a Sepphoris. Lì c’è più possibilità di conoscere gente nuova».
«Intanto, dovremmo imparare a conoscere sempre tutte le persone, quelle nuove e quelle che ci sono già familiari… Ricorda, Giovanni, non si finisce mai di imparare».
Cammina cammina, finalmente i due giungono a Sepphoris.
«Che facciamo? Andiamo direttamente dai tuoi nonni, o ci facciamo prima un giro in città e magari mangiamo qualcosa?», chiede Giovanni.
«Credo che a quest’ora nonno Gioacchino stia ancora a lavorare nei campi. Mangiare qualcosa è un’ottima idea, visto che ho una fame da lupi!», risponde l’altro mettendosi a ridere.
Così, i due cugini giungono nel cuore di Sepphoris, dove ci sono tutti gli uffici amministrativi dei romani, le botteghe più belle, e una tale confusione di persone, carri, mercanti, che c’è quasi da rimanerne storditi.
«Mamma mia, quanta gente!», esclama Giovanni quasi incredulo.
In quel momento una biga trainata da un cavallo passa rumorosamente accanto ai due ragazzi. Gesù se ne accorge in tempo e tira per un braccio Giovanni, in modo da evitare che finisca per terra urtato dall’animale in corsa.
«Per poco, quella biga non mi travolgeva!», commenta Giovanni.
«Bisogna stare attenti… Del resto, lo hai detto stesso tu che Sepphoris non è Nazareth…», gli fa notare Gesù.
«Già».
I due gironzolano per un po’, restando sorpresi, ma anche frastornati dai rumori delle strade e dal continuo vociare della gente di Sepphoris. Finalmente, trovano una bottega dove si vendono focacce. Entrano e notano che anche nella locanda ci sono tanti avventori. Comprano una focaccia ciascuno e vanno a sedersi negli unici due posti liberi che trovano, quasi vicino al banco del venditore e di fianco ad un altro ragazzo che sta lì a mangiare da solo.
«Possiamo sederci vicino a te per mangiare?», chiede Gesù rivolgendosi al ragazzo, che, ad occhio e croce, dimostra qualche anno in più rispetto a loro.
«Ce mancasse pure, accomodatevi!», risponde l’altro, con un accento sconosciuto ai due.
«Ma tu non sei giudeo!», nota Giovanni, con un misto di sorpresa e sospetto.
«Che bella scuperta!», replica quello, continuando a mangiare.
«Di dove sei?», domanda ancora Gesù.
«I’ vengo ‘a nu posto luntano assaje: ‘na bellissima città d’ ‘a Magna Grecia, che se chiamma Neapolis … Forse n’avite ‘ntiso parl’, quacche vvota…».
«Caspita! Sei veramente venuto dall’altra parte della terra! E come mai ti trovi qui?».
«Patemo è ‘o segretario ‘e n’ommo assaje importante, che s’è trasferito cca pe’ cierte affare suoie, e m’ha purtato cu’ isso. Però i’ cca nun ce voglio sta’, e vulesse turna’ a casa mia, add’ ‘e cumpagne mie e add’ ‘a gente che parla ‘a stessa lengua mia!».
«Infatti, parli una lingua molto particolare… sembra quasi che canti quando parli!», dice Giovanni, non più sospettoso verso il ragazzo straniero.
«Lingua a parte, sei un tipo simpatico. Io mi chiamo Gesù e questo è mio cugino Giovanni!».
«Piacere, i’ so’ Cyrus», si presenta il ragazzo, ufficializzando la nuova amicizia con sorrisi e pacche sulle spalle.
«Buone ‘ste focacce!», esclama Giovanni, ottenendo il consenso degli altri due.
Intanto, dietro al bancone il cameriere, che, rallentato un po’ l’afflusso di clienti, ha cominciato a dare una pulita con uno straccio, comincia a dare segni di nervosismo. I ragazzi, sulle prime, non danno peso alla cosa, pensando che probabilmente quello dev’essere agitato perché la locanda è piena e quindi deve sgobbare un bel po’. Perciò, continuano a parlare del più e del meno: Gesù e Giovanni chiedono al loro nuovo amico notizie della sua città di origine, e l’altro si informa su cosa fanno i ragazzi di quella regione.
Ad un certo punto, i tre ragazzi e anche altri avventori della locanda si voltano tutti a guardare il cameriere che, a voce alta – quasi gridando – chiama il padrone.
«Che diamine gridi, stupido?», gli urla a sua volta il padrone, uscendo dalla cucina, vestito con una specie di grembiule che più sporco non si può.
«Padrone, è successa una cosa!».
«Cosa? Bada che, se è una delle tue solite manfrine per non lavorare, ti prendo a calci fino a domani!», lo avverte, assumendo poi una posa a braccia conserte, aspettando che l’altro gli spieghi cosa è accaduto.
«Ti ricordi la statuina in onore della tua defunta nonna?».
«Certo che me la ricordo, cretino!».
«Beh, non la trovo più!».
«Cosa?».
«Non c’è più, guarda tu stesso…», continua il cameriere, indicando la mensola che sta alle spalle di Gesù, Giovanni e Cyrus.
Mentre il padrone ispeziona il ripiano dal quale manca la statuina votiva, il cameriere rincara la dose: «Forse l’hanno presa questi ragazzini per rivenderla!».
Il padrone si volge di scatto verso il trio e sbraitando prende ad interrogarli se siano stati loro a far sparire la statuina.
«Avete preso voi la statuina della mia cara nonna?».
Risponde Giovanni: «Noi non abbiamo preso un bel niente!».
Gli fa eco Cyrus: «Vuje date retta a chillo? Nun simmo mariuole, stammo sulo magnanno e parlammo tra nuje!».
Interviene il servo: «Padrone non ascoltarli! Sono forestieri… probabilmente non hanno i soldi per pagare e hanno rubato la statuina per rivenderla e pagarti le focacce!».
«Che scemenze so’ cheste?», chiede Cyrus, offeso per le accuse.
«Specie quello lì… non senti che parlata strana ha? Sicuramente è stato lui a rubare la tua statuina!».
«È vero! Tu non sei giudeo… Fammi vedere nella tua borsa!».
«Nun ce penzo proprio!».
«Di sicuro ha nascosto la statuina lì dentro! Chiama subito le guardie e falli arrestare!», seguita a dire il cameriere.
Al che, nonostante anche Giovanni cerchi di impedirglielo, il padrone strappa a Cyrus la sacca, e comincia a frugare dentro. Nella sala c’è un gran mormorio, e gli occhi di tutti gli avventori sono sui ragazzi.
Intanto Gesù, alzatosi in piedi, da uno sguardo alla mensola e sul pavimento tutto intorno, anche dietro al bancone dove il cameriere serve i clienti, accorgendosi che per terra c’è un pezzo di terracotta, che prontamente raccoglie.
«Qui non c’è niente!», esclama deluso il padrone dopo aver svuotato la borsa del ragazzo.
«Per forza!», replica Gesù. Tutti nella sala volgono gli occhi verso di lui.
«Perché dici “per forza”?», chiede il padrone.
«Tu hai creduto che noi avessimo rubato la statuina votiva della tua nonna, solo perché il tuo servitore ci ha accusati. Non hai manco voluto sentire le nostre spiegazioni e hai, anzi, ispezionato la borsa di Cyrus. Hai pensato: “È uno straniero, dev’essere per forza colpevole!”. Ma guarda qui cos’ho trovato!», spiega il ragazzo con voce severa, mostrando a tutti il pezzetto di terracotta che ha trovato.
Il padrone gli prendere dalle mani quel frammento, lo guarda ed esclama: «Questo è un pezzo della statuina! Dove lo hai trovato, ragazzo mio?».
«Fino a due minuti fa ero un ladro e ora mi chiami “ragazzo mio”? Comunque, quel pezzo era sul pavimento proprio sotto il bancone dove lavora il tuo cameriere…».
Il padrone si volge al cameriere e gli dice: «Hai fatto rompere la statuina di mia nonna e hai provato a dare la colpa a questi ragazzi?».
«Padrone, stavo pulendo… è stato un incidente…», ma non fa manco in tempo a finire la frase, che l’altro comincia a rincorrerlo per tutta la sala, prendendolo a calci davanti a tutti e cacciandolo fuori tra le risate degli avventori.
«Grazie, Gesù, si’ riuscito a’ evita’ che i’ fosse accusato ingiustamente», dice Cyrus.
«Di niente, amico mio… Io penso che la verità in un modo o nell’altro viene sempre fuori, per quanto uno voglia nascondersi o mascherarsi…».
«Già», chiosa Giovanni.
«È proprio ‘o vero. ê pparte mie ce sta nu pruverbio che dice: “Mariuliggine e puttaniggine, crepa ‘a terra e ‘o dice!”».
«E che significa?», chiede Giovanni che non ha capito.
«Chiù o meno che tutt’ ‘e malazione, pe’ quanto se vonno annasconnere, pure ‘a terra s’arape e ‘e conta a tuttu quante».
«Infatti, quando un tempo si dovrà lodare Dio per tutto quanto avrà fatto, se anche gli uomini dovessero tacere, saranno le pietre a gridare…», dice Gesù.
«Nun aggio capito…», gli fa Cyrus un po’ perplesso.
«Non ti preoccupare per ora: tutto ti sarà più chiaro tra una trentina di anni…», conclude quello, facendo sorridere il cugino.
Sulle prime Cyrus mostra di non capire, ma nel vedere Giovanni che annuisce, anche lui sorride. Poi, tutti e tre insieme escono, si salutano, e prendono le rispettive strade.