Category : Pastorale Digitale 2.0

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La benedizione delle Madonnine di Anna e Franco

Il giorno 26 maggio 2017, il Parroco Don Antonio Di Lorenzo si è recato a benedire le Madonnine di Anna e Serafino.

Anna e Franco Serafini attendevano con gioia da tempo che il Parroco Don Antonio andasse presso la loro abitazione per fargli benedire le Madonnine acquistate negli anni, così il giorno 26 Maggio hanno visto realizzato il loro sogno.

Tanti sono stati gli amici presenti alla Santa Messa, alla benedizione e dopo al rinfresco offerto da Anna.

Tutto ciò si è svolto in località San Sosio, della Parrocchia Di Santa Maria di Civita in Arpino.

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Gianna Reale

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Il Serpente Prudente – “La Semplicità”

n. 37 (31/07/2017)

“La semplicità”

Qualche domenica fa la liturgia della parola prevedeva come lettura evangelica il brano di Matteo (11, 25-27) nel quale Gesù si esprime in questo modo: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare».

Si tratta di concetti che meritano una riflessione, dal momento che mettono in campo questioni piuttosto interessanti sul rapporto tra la fede e la conoscenza. Infatti, sembrerebbe quasi che le parole di Gesù tradiscono una certa ostilità nei confronti degli intellettuali e di quanti desiderino attingere alla sapienza e alla conoscenza. A mio parere, le cose stanno in maniera molto diversa.

Innanzitutto bisogna contestualizzare l’episodio in cui Gesù fa queste affermazioni apparentemente “anti intellettuali”. Infatti, poco prima, c’è l’episodio in cui Giovanni invia alcuni suoi discepoli da Gesù, affinché costoro gli chiedano: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». Al che Gesù risponde loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me».

È evidente che Giovanni – che tempo prima aveva incontrato Gesù, quasi opponendosi alla sua richiesta di essere battezzato – non poteva non sapere che “colui che deve venire” fosse proprio suo cugino! Perciò, l’invio dei discepoli con quella precisa richiesta, si spiega nel senso che Giovanni vuole che siano proprio essi ad apprendere dal diretto interessato la sua natura messianica (il che fa pendant con il ruolo di precursore che al momento giusto esce dalla scena per far posto al vero protagonista della storia).

Subito dopo, Gesù dice che Giovanni è anche più di un profeta, è il messaggero che preparerà davanti a lui la via: «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Dunque, poniamo un punto fermo: un profeta è sicuramente un uomo di fede, ma è anche un uomo di sapienza e di conoscenza. Tuttavia, tutto ciò non basta a garantirgli di essere il numero uno nel regno dei cieli, poiché il giusto atteggiamento per passare davanti anche a Giovanni nel regno dei cieli è quello della semplicità.

Ma proseguiamo. Il racconto di Matteo, dopo le parole su Giovanni va avanti, fornendo ulteriori indizi: «Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, gia da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!”».

Punto secondo: l’atteggiamento della semplicità quasi fanciullesca include una componente di riconoscenza e stupore tanto nei confronti dei doni della fede e della conoscenza, quanto nel senso complessivo del rapporto con Dio e con il prossimo.

Non sembra azzardato dire che la vera conoscenza e la vera fede non solo non si escludono vicendevolmente, bensì sono una parte sostanziale dell’altra: entrambe, se autenticamente vissute, sono necessarie per vivere con quell’atteggiamento di semplicità (che non è né inconsapevole e acritica accettazione, né passiva dabbenaggine), che Gesù loda.

La conoscenza che è invece di ostacolo alla fede è quella che si sostanzia di saccenza e presunzione, caratteristiche tipiche del vero fariseo, quali ce ne sono tanti anche oggi. Esemplare è l’episodio in cui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani chiedono a Gesù: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

La semplice risposta di Gesù zittisce i “sapienti” sacerdoti, che pure di conoscenza libresca ne avevano da vendere. Un po’ come gli intellettuali (o sedicenti tali) dei nostri giorni, che sanno dare opinioni su tutto e tutti, sparlano a sproposito di ogni cosa, cercando sempre di affermare una loro superiorità morale, mettendo spesso la verità in un angolo. Quello condannato da Gesù è l’uso sleale della ragione, perché si pone su un piano di mediocrità, tanto da risultare inutile per il mondo e per il cielo. Gesù infatti chiede un impegno (anche intellettuale) che sia innanzitutto un superamento della mediocrità e della superficialità («Chi si mette all’aratro e poi si volta indietro non è adatto per il regno di Dio», Lc 9, 62). È un monito che vale per il cristiano ma anche per il laico.

Non a caso, anche tra i laici autenticamente impegnati in un umanesimo che “rivoluzioni” veramente il mondo e la società umana, il messaggio non è tanto dissimile. Si legga per esempio il gustosissimo Romanzo dei tui (di recente edizione), purtroppo incompiuto, satira impietosa del cattivo uso dell’intelletto che fanno gli stessi intellettuali. E si rilegga quello che diceva uno scrittore del calibro di Pier Paolo Pasolini: «Il tipo di persone che amo di gran lunga di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici […]. Non lo dico per retorica, lo dico perché la cultura piccolo-borghese è qualcosa che porta sempre della corruzione, delle impurezze, mentre un analfabeta, uno che ha fatto solo i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi la si ritrova ad un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice».

Vincenzo Ruggiero Perrino

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Benedizione del drappo del gonfalone di Arpino 2017

Con la benedizione del drappo si è dato inizio alla 47′ edizione del “Gonfalone di Arpino”.

Il giorno 23 Luglio 2017, nella Chiesa di San Michele (grazie al Parroco Padre Juan) , è stato presentato e benedetto il drappo del ”GONFALONE DI ARPINO 2017”, di seguito i presidenti delle Associazioni delle CONTRADE e dei QUARTIERI in gara, hanno fatto il giuramento di ”fedelta’ ” verso la propria contrada, il proprio quartiere e verso la rappresentazione del Gonfalone, di seguito uscendo in nella piazza antistante la Chiesa, c’è stata la premiazione della ”coppia più bella”.

Ogni anno il drappo viene realizzato da un’artista diverso, quest’anno lo hanno realizzato due ragazzi del ”LICEO ARTISTICO A. VALENTE” di SORA, e sono: ALESSIA PISANI, 4C sez. design moda e RICCARDO ROSSINI, 4B sez. arti figurative.

Uno dei più belli tra quelli realizzati fin ora, rappresenta a tuttotondo il Gonfalone e Arpino: Alessia ha realizzato il cielo con il frastuono delle bandiere, con dei piccoli pezzi di stoffa colorata (come le bandiere delle contrade e dei quartieri), e la ”via latina”, con i grandi massi di pietra; Riccardo ha realizzato il simbolo raffigurato sullo stemma del paese di Arpino,”la fontana dell’aquila”, e per finire le figure, rappresentate in veste ciociara nel giorno del Gonfalone.

Il drappo misura 110×70, realizzato su di un pezzo di tela antica, usati anche colori acrilici, gesso, colla e stoffe varie.

Il Gonfalone è una gara tra Contrade e Quartieri, e molto altro… Si inizia con la benedizione del drappo per continuare con le sagre, che si tengono ognuna nel proprio quartiere o contrada, poi si organizzano varie serate come gli ”angoli caratteristici e antichi mestieri”, con i quali contrade e quartieri ripropongono i vecchi mestieri e le vecchie usanze,  condito sempre con angoli dove si può degustare prelibatezze varie… il tutto culmina con le gare che si tengono di regola nel fine settimana dopo quello dell’Assunta (che poi è la festa principale ad Arpino).

Le varie sagre sono: CONTRADA VIGNEPIANE, GIORNO 29 LUGLIO, TAGLIERINI ASPARAGI E PANCETTA; CONTRADA COLLECARINO, 2 AGOSTO, PAPPARDELLE AL CINGHIALE; QUARTIERE ARCO, 6 AGOSTO, FETTUCCINE FUNGHI PORCINI E TARTUFO; CONTRADA VALLONE, 7 AGOSTO, GNOCCHI; CONTRADA VUOTTI, 9 AGOSTO, STROZZAPRETI ALLA CIOCIARA CON TANNI E SALSICCIA; QUARTIERE PONTE, 11 AGOSTO, SAGNE E FAGIOLI; QUARTIRE CIVITA FALCONARA, 12 AGOSTO, FINI FINI AL POMODORO. Tutte vengono fatte in serata.

Gli ”angoli caratteristici e antichi mestieri” sono in calendario il giorno 18 Agosto alle ore 18, e i temi sono: CIVITA FALCONARA ”LE BOTTEGHE ARTIGIANALI NEL QUARTIERE”; CONTRADA COLLECARINO ” ‘L’ARA’ LUOGO DI LAVORO E DI FESTA”; VIGNEPIANE ”L’ARTE DELLA MASCALCIA SECONDO LA TRADIZIONE ITALIANA”; ARCO ”LA BOTTEGA DEL CONTADINO”; VUOTTI ”LA CAMERA DA LETTO”; PONTE ”GLIE’ TABBACC”; VALLONE ”1850:STORIE DI UOMINI E DONNE CORAGGIOSI”. Nella stessa serata ci sarà anche il ”premio speciale BALLETTO CIOCIARO” ed il Grande concerto per il Gonfalone.

Il Giorno 19 Agosto dalle ore 18.00 ci saranno le gare ”CORSA DEGLI ASINI” E ”TIRO ALLA FUNE”; mentre nel giorno 20 agosto alle ore 16 inizierà il tutto alle ore 16.00 con il ”CORTEO STORICO” ed ”IL BALLETTO DELLA CANNATA”, e a seguire tutte le altre gare: CORSA CON LA CARIOLA; CORSA CON LA CANNATA; CORSA CON I SACCHI; CORSA DELLA STAFFETTA; a fine serata ci sarà la premiazione e l’assegnazione dell’ambito ”DRAPPO”.

Passando per le strade, anche limitrofe al paese di Arpino, è sovente incontrare gruppi di ragazzi che si allenano per le gare, e non solo durante i giorni del palio, ma sempre, partecipanti al Gonfalone si allenano durante tutto l’anno, infatti al termine della premiazione già la mente vola all’anno successivo. Naturalmente i quartieri e le contrade che partecipano quest’anno non sono gli unici presenti ad Arpino, ma per varie ragioni, non tutti partecipano sempre.

Un grazie va a tutti coloro che da ormai 47 anni fanno volare alto il paese di Arpino mantenendo vive queste bellissime tradizioni. Naturalmente Arpino non è solo ”Gonfalone”, ma ci sono eventi bellissimi durante tutto l’anno.

Gianna Reale

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Concerto di Renzo Arbore a Sora

Nella serata del 22 Luglio 2017, presso lo stadio ” G. Panico” di via trecce a Sora si è tenuto il memorabile concerto di RENZO ARBORE E ”L’ORCHESTRA ITALIANA”.

ARBORE è stato intervistato dal bravissimo presentatore TONINO BERNARDELLI, nonché membro della Pastorale Digitale della nostra Diocesi (DIOCESI SORA CASSINO AQUINO PONTECORVO), il mitico RENZO ARBORE ha confessato che il concerto sorano fungeva da prova generale, visto che già dal 23 sarebbe iniziato il grande tour in giro per l’Italia. Bernardelli poi ha sottolineato la grande presenza artistica nel nostro territorio, e ha suscitato in Arbore i ricordi nei confronti dell’amico VITTORIO DI SICA (nativo di Sora), tutto questo non solo nell’intervista prima del concerto, ma anche durante il concerto, quando il presentatore è salito sul palco per una bellissima chiacchierata con l’artista, il quale ha ricordato anche che non era la prima volta che si esibiva a Sora, ma già tempo fa, dopo il successo di ”quelli della notte” c’era stato un suo concerto, sempre ricordato con affetto.

Il concerto è stato un miscuglio di brani e storie, raccontate dallo stesso Arbore, il quale ha emozionato e non poco, il vasto pubblico accorso per l’evento. Per non parlare della bravura dei 15 maestri dell’ ”ORCHESTRA ITALIANA” sul palco con lui, sempre molto presenti nei concerti, e come ha ricordato lo stesso Arbore ”il mio è un concerto collettivo”.

Durante il concerto il Sindaco di Sora, Roberto De Donatis,  ha consegnato ad Arbore una targa ricordo a nome di tutta la città.

Oltre a Tonino Bernardelli, anche altri membri della Pastorale Digitale della nostra Diocesi hanno collaborato attivamente per la buona riuscita dell’evento: Ilaria Paolisso, come Addetto Stampa per il COMUNE DI SORA, e Francesco Marra, come Video Reporter per un noto TG della zona.

Ci auguriamo di rivedere presto un concerto così a Sora!

Gianna Reale

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Arpino, teatro all’aperto all’acropoli di Civitavecchia

Ancora una volta il corso di teatro d’arte “La valigia di Propsero”ha organizzato ad Arpino una grandissima rappresentazione teatrale.

Il giorno 20 Luglio 2017, nella bellissima scenografia naturale dell’ Acropoli di Civitavecchia in Arpino, sulla antica aia al di sotto della Torre, è stata rappresentata una commedia dell’arte in maschera ”pulcinellata”, dal titolo ”vita da polli”. Scritta dal Maestro ANTONIO FAVA e rappresentata da Paolo Diodato, Francesca Camilla D’Amico e Marcello Sacerdote,  facenti parte del ”MORE’ TEATRO” di Pescara e organizzato dal corso di teatro dell’arte ”LA VALIGIA DI PROSPERO” e dal suo direttore artistico Piergiorgio Sperduti, naturalmente il tutto organizzato  insieme alla città di Arpino (Cultura e pubblica istruzione) nella persona di Rachele Martino, e con la gentile ospitalità della FONDAZIONE UMBERTO MASTROIANNI, nella persona di Andrea Chietini.

Molti applausi e risate dal pubblico accorso e anche dai molti i bambini, molto interessati fino alla fine.

Al termine della rappresentazione la serata è finita con musica dal vivo e convivialità, grazie alla FONDAZIONE UMBERTO MASTROIANNI che ha organizzato una mostra sulla vita e le opere di Umberto Mastroianni.

La prossima rappresentazione teatrale avverrà nei suggestivi locali de ”IL CAVALIER D’ARPINO” nella serata del 28 luglio 2017.

Gianna Reale

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Il Serpente Prudente – Beatamente degni

n. 36 (17/07/2017)

“Beatamente degni”

Scorrendo le pagine del vangelo, non è difficile accorgersi del fatto che se c’è un filo rosso che lega le varie parabole e i “detti” di Gesù, esso andrebbe rintracciato nel costante riferimento ad una nuova forma di dignità dell’uomo.

Con un particolare importantissimo: la dignità, sulla quale Gesù fonda costantemente i suoi discorsi, assume delle sfumature completamente inedite nel panorama intellettuale del tempo in cui egli predicava, ma si rivela sorprendentemente inattuale anche oggi. In altre parole, sono passati duemila anni, ma gli uomini e le donne – cristiani o meno che siano – ancora non hanno saputo raggiungere la dignità di essere umani alla quale essi sono chiamati.

Il motivo è semplice fino all’ovvietà: l’uomo ha costruito tutta una serie di false apparenze di dignità, di sovrastrutture sociali, economiche, culturali, da nascondere a se stesso il senso più autentico e profondo della vita umana. E la cosa quasi divertente è che, prima ci si ingabbia in queste proiezioni assurde, e poi ci si lamenta pure che non si sta bene!

Chi si stia chiedendo qual è questo senso autentico della vita umana, può aprire a caso una qualsiasi pagina del vangelo, leggerla con il giusto taglio critico, e lo capisce immediatamente. La vera dignità umana risiede nell’aderire con fede al messaggio “nuovo” di Gesù: quella fede sulla quale più volte questa rubrica si è soffermata. Qui possiamo aggiungere che la sola fiducia – quel vago senso di deresponsabilizzazione dell’uomo, che vorebbe quasi che Dio si sostituisse a lui nelle scelte, col quale spesso si confonde la fede – sia del tutto antitetica alla dignità a cui l’uomo è chiamato.

Per meglio comprendere questa conquista della dignità attraverso una concreta azione individuale e personale, si può partire dall’etimologia della parola. “Dignità” viene dal latino “dignus”, che correttamente dovremmo tradurre con “meritevole”. Il corrispondente vocabolo greco è ἀξίωμα  (“assioma”). In matematica, un assioma è una verità evidente che non necessita di dimostrazione. Dunque: la dignità umana è un assioma: non ha bisogno di essere dimostrata, ma semplicemente riconosciuta dall’atteggiamento e dal comportamento proprio di chi è “meritevole e degno”.

Su di essa – naturalmente parliamo della “vera” dignità – si dovrebbe fondare ogni aspetto della società civile. Tuttavia oggi, come accennavamo poc’anzi, sono in voga altri modelli di dignità, che, lungi dall’essere assiomatici, presuppongono anzi una continua dimostrazione verso gli altri. Oggi ci si riempie la bocca della parola “dignità” a tutti i livelli. Noi italiani, infallibili nelle parole molto più che nei fatti, lo abbiamo finanche scritto nella Costituzione repubblicana, nella quale, l’art. 3, in maniera perentoria ed inequivocabile riconosce «pari dignità sociale» a tutti i cittadini. Peccato che, nella realtà dei fatti, sia sotto gli occhi di tutti quanto, proprio quelle istituzioni che dovrebbero assicurare la pari dignità sociale, in realtà non fanno altro che assumere quotidianamente atteggiamenti di aperto vilipendio della dignità altrui.

Non va certo meglio in ambito religioso. Sul punto invito i lettori di questa rubrica a dare uno sguardo ad un video su youtube relativo ad un “esperimento sociale”, in cui un attore finge di essere un mendicante davanti al Duomo di Napoli, chiedendo non soldi ma la possibilità di usare il bagno per potersi lavare la faccia e magari radersi la barba. Su centoventi persone fermate, appena due si offrono di dargli aiuto (e tra questi due, non figura il sacerdote al quale l’attore pure chiede aiuto)…

Vero è che nel corso dei secoli ogni popolo ha adottato parametri affatto diversi di dignità, stabilendo gerarchie sociali e regole. Il teologo domenicano Timothy Radcliffe scrive che «tutte le società rendono visibili certe persone e ne fanno scomparire altre. Nella nostra società sono ben visibili i politici e le star del cinema, i cantanti e i calciatori, che si presentano continuamente in pubblico, sui cartelli pubblicitari e sugli schermi televisivi. Ma rendiamo invisibili i poveri. Essi non compaiono nelle liste elettorali. Non hanno volto né voce».

Possiamo dire che la dignità di ci si parla oggi non si accompagna tanto all’aggettivo “umana”, quanto piuttosto ad altre formule legate al ruolo sociale e al ceto economico di ciascuno. Eco, perché accanto a persone “dignitose”, “meritevoli” di rispetto, si fa sempre più largo la pretesa dignità che poggia su disvalori, più o meno esibiti e spettacolarizzati, per garantirsi privilegi e benefici.

Se in ambito laico la dignità, per dirla con Aristotele, «non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli», ed è propria quindi di chi agisce per meritare onori e credibilità, per un cristiano essa è quella qualità che rende gli uomini il sale della terra. Infatti, Matteo ricorda l’ammonimento di Gesù sul fare attenzione a non perdere il proprio “sapore” di uomini, perché, al pari del sale divenuto insipido,  anche l’uomo senza sapore a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato (Mt 5, 13).

Cosa fare per avere sapore e quindi assurgere alla “nuova” dignità evangelica? Matteo lo spiega poco prima (5, 1-12): il comportamento delle beatitudini, che è una delle numerose estrinsecazioni ed esemplificazioni offerte dalla predicazione di Gesù a chiarimento di quel concetto di fede, che più volte è stato al centro di questa rubrica.

È evidente che il mite, il povero di spirito, l’afflitto, l’operatore di pace, sono tutte persone che “fanno” e non dimostrano assolutamente nulla; vivono la loro qualità senza sbandierarla ai quattro venti per essere riconosciuti tali. Ancor meno dimostra chi si comporta secondo lo spirito di quella, che in una delle prime puntate di questa rubrica, definii l’ottava beatitudine: “Beati quelli che non hanno niente da dire, e nonostante questo restano in silenzio”.

In questi tempi senza sapore, però, vi è un comportamento che l’uomo di fede ha quasi l’obbligo di assumere, per partecipare attivamente alla vita del suo tempo, imprimendo o almeno cercando di imprimere una svolta virtuosa all’ambiente sociale in cui vive ed opera. Come diceva don Tonino Bello, bisogna non soltanto “consolare gli afflitti”, ma anche “affliggere i consolati”, e cioè scardinare quelle convinzioni che poggiano su falsi valori e anestetizzanti parvenze di verità. Bisogna sempre sforzarsi di avere una visione costruttivamente critica della fede, dei comportamenti di chi pensa di agire con fede, di chi ritiene di aver conquistato una dignità che in realtà tale non è. Solo così potremmo dirci beatamente degni delle promesse di Cristo.

Vincenzo Ruggiero Perrino

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SACRA FAMIGLIA di Vincenzo Ruggiero Perrino – Episodio 18

SACRA FAMIGLIA

di Vincenzo Ruggiero Perrino

 

 

Episodio 18

Sepphoris, anno 1 a. C.

Stamattina Gesù è andato a Sepphoris con Giuseppe. A differenza delle altre volte che ha accompagnato il padre nella città in cui egli è impiegato, non è rimasto al cantiere, ma è andato a fare visita ai nonni materni che vivono proprio lì. Ha passato una piacevolissima giornata con Gioacchino ed Anna; poi, dopo pranzo, ha salutato i due e si è incamminato verso il teatro della città dove Giuseppe sta lavorando. Così, insieme padre e figlio torneranno a casa.

Gesù passeggia per strada guardandosi intorno: Erode aveva deciso di ricostruire Sepphoris imitando lo stile delle più belle capitali dell’impero romano. Del resto, tutti sapevano che il re non voleva inimicarsi i nuovi padroni della Palestina, e pensava che ricostruire una città – oltretutto distrutta proprio dai romani – secondo le tecniche dei romani, era una buona idea.

Le case non assomigliavano per niente a quelle di Nazareth o degli altri piccoli villaggi dei dintorni: erano più grandi e meglio rifinite. Le persone erano vestite in maniera molto più sfarzosa. C’era un gran via vai di oratori, maestri, medici, dottori della legge, scribi. Insomma: a Sepphoris ci tenevano a mostrarsi più valenti che altrove. Gesù pensò che costoro ebrei lo erano ormai solo di nome, ma di fatto erano romani in tutto e per tutto!

Cammina cammina, il ragazzo nota un personaggio strano: indossa vesti più umili, ha i capelli lunghi e crespi, e cammina avanti e indietro sotto il portico di un palazzo. In una mano tiene un rotolo di pergamena tutto scarabocchiato con appunti; sembra che stia parlando da solo, agitando l’altra mano in aria.

Colpito da quel tipo Gesù gli si avvicina e lo saluta:

«Ciao!».

«Salute a te, ragazzo!», replica l’altro, dando l’impressione di essersi appena svegliato da un lungo sonno.

«Ti ho visto da lontano».

«Ti sarai chiesto “chi è quel matto che cammina e parla da solo”, giusto?».

«Beh non ho pensato proprio questo, ma mi ha incuriosito il tuo modo di fare. Qui tutti sembrano molto impegnati a mostrarsi migliori degli altri, nel vestire, nelle case, nelle proprie professioni. Tu invece mi sembri diverso dagli abitanti che finora ho incrociato per strada».

«Ti ringrazio, ragazzo! Io sono un filosofo. A differenza dei miei concittadini non mi curo del lusso, della ricchezza, o della gloria. A me interessa rispondere alle domande importanti della vita: cos’è l’uomo? Qual è il suo fine? Cosa vuole da noi il cielo?».

«Il tuo accento ti tradisce. Tu non sei giudeo, vero?».

«Sono giudeo, ma per molti anni sono stato ad Atene a studiare presso un importante maestro di filosofia. Quindi il mio accento è stato influenzato da un’altra parlata».

«Il maestro a scuola ci ha spiegato che la Grecia è la patria di tanti filosofi».

«Ha detto bene. E, come ti dicevo poc’anzi, i filosofi sono diversi da tutti gli altri».

«Sembra che tu sia orgoglioso di essere diverso dagli altri!».

«E infatti lo sono!».

«Perché?».

I due si siedono su una panca di legno che è sotto il porticato in modo da poter chiacchierare tranquillamente. Così, il filosofo risponde alla domanda di Gesù:

«Tu hai visto tutti queste persone che correvano dietro ai loro affari e alle loro cose materiali. Io invece mi disinteresso di queste cose, e mi concentro sul pensiero, sulle parole, cercando di comprendere i grandi misteri della vita».

«E sei riuscito a comprenderne qualcuno?».

«Finora no», replica quello con un’aria un po’ triste.

«Non sarà perché in fondo non c’è alcun grande mistero da scoprire?».

L’uomo sussulta ed esclama:

«Tu non sai quel che dici ragazzo!».

Gesù sorride e continua:

«Io penso che tu corra dietro ad un mistero che non c’è. Cosa può esserci di misterioso nella vita? Piuttosto che farsi tante domande, bisognerebbe che tu la vivessi la vita!».

«Quindi, secondo te, io sono nel torto e gli altri nel giusto, vivendo la loro vita di dissolutezze?».

«Non ho mica detto questo! È evidente che inseguire i beni materiali, il lusso, la ricchezza, la gloria, il potere, sono comportamenti che facilmente possono portare l’uomo fuori strada».

«Oh, almeno su questo punto siamo d’accordo!».

«Sì, ma anche condurre una vita isolata, addirittura facendosi vanto della propria solitudine, impiegando il proprio tempo a pensare a cose “misteriose”, che misteriose non sono, può portare l’uomo fuori strada».

«Io almeno una strada da percorrere la cerco gli altri no!».

«Il punto è proprio questo: la via è proprio la vita».

«Ragazzo mio, sei più complicato di me con le parole!».

«Ti spiego: tu pensi che la vita ti sia stata data per trovare una via e giungere alla verità, giusto?».

«Sì».

«Io credo che la vita sia la via che porta alla verità! Non ci sono altre vie, se non quella di vivere la vita per giungere alla verità».

«Ragazzo mio, le tue parole sono ricche di un senso nuovo».

«Le mie parole sono ricche del loro vero senso, un senso antico. Il problema è che le vostre parole sono spesso prive di un vero significato, perché le avete consumate usandole in maniera eccessiva e spesso inconsapevole. Per dire cose nuove, avete bisogno di rigenerare le vostre parole. Dovete restituire loro il senso che è loro proprio. Tu sai cos’è la manomissione?».

«Se non sbaglio è un termine giuridico dei romani».

«Esatto, è la pratica giuridica con cui il padrone rende finalmente la libertà al suo schiavo».

«E cosa c’entra?».

«Se vuoi veramente che la tua vita sia la via che ti porta alla verità, almeno “manometti” le tue antiche parole: rendile nuovamente libere di significare qualcosa».

«Non è semplice!».

«No, non lo è, perché per fare questo devi essere libero nella testa e soprattutto nel cuore».

«Ma qual è la strada da seguire? Come bisogna comportarci verso gli altri e verso il cielo?».

«Questa è una domanda intelligente! La risposta è scritta nella Legge».

«La Legge è piena di precetti e di regole, che nessuno segue se non per farsi bello agli occhi degli altri e per criticare le manchevolezze degli altri, senza nessuno spirito di autenticità!».

«E ci risiamo con le critiche agli altri. Pensa per te, piuttosto che pensare agli altri…».

«Alla fine se presti attenzione alle cose che sono scritte nella legge, tutto è riconducibile ad appena due regoline semplici semplici».

«Sentiamole», fa quello un po’ incredulo.

«La via da seguire nella vita, per giungere alla verità, è amare gli altri come si ama se stesso e amare Dio come si ama se stessi. Facile no?».

«Ma tu sei un ragazzino… Come fai a sapere queste cose? Io dopo anni di studio non ero mai arrivato ad un conclusione del genere!», esclama il filosofo, stupito da tanta intelligenza.

«Basta leggere ciò che è scritto da secoli. Se io non amo essere derubato, ingiuriato, ucciso, è chiaro che nemmeno un altro amerebbe essere derubato, ingiuriato o ucciso. Quindi se io non voglio che lo si faccia a me, nemmeno lo devo fare ad un altro! E così è per quel che riguarda Dio…».

Il filosofo abbassa la testa, pensieroso. Poi, dici quasi come un sussurro: «Infatti, bastava solo leggere ciò che è scritto, invece di perdere tanto tempo a pensare e a riflettere… Avrei dovuto vivere!».

«Su, su, niente è perduto. L’importante è che ora è tutto chiaro!», dice Gesù, sorridendo candidamente.

 Segue un lungo momento di silenzio. Il filosofo guarda Gesù negli occhi. Alla fine si alza in piedi ed esclama:

«Grazie, ragazzo mio! Ho imparato più cose da te in mezz’ora, che in tanti anni spesi alla scuola di filosofia ad Atene… E non so nemmeno come ti chiami!».

«Gesù».

«Bene, credo che in futuro sentirò parlare di Gesù come del più grande filosofo di tutti i tempi».

«Ma io non diventerò un filosofo…».

«Non mi dirai che vuoi diventare un avvocato o un affarista».

«No, diciamo che in un certo senso quello che farò avrà a che vedere con via, verità e vita…».

«Non sono sicuro di aver capito…».

«Tranquillo, amico mio, tutte queste cose ti saranno molto più chiare tra una trentina di anni…».

[giugno 2017]

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Il Serpente Prudente – La presenza di Dio

n. 35 (03/07/2017)

“La presenza di Dio”

Una delle questioni più ricorrenti nel corso della storia è quella della “presenza” di Dio nelle vicende umane. Credo che un po’ tutti, confrontandosi con quanche problematica più o meno grave, abbiano avuto modo di riflettere su domande del tipo “dov’era Dio quando succedeva questa cosa?”.

Lo si è sentito dire, per esempio, in tanti film sulla shoah; lo si sente dire quando si vivono drammatiche esperienze di malattie gravi o incidenti che coivolgono giovani e giovanissimi; ma lo si sente pure dire per cose ben più banali come una sommessa andata male o un desiderio in qualche modo frustrato o non realizzato. Sostanzialmente la questione si riduce sempre ad una domanda fondamentale: se io mi comporto bene, perché mi succedono cose non buone o comunque Dio non ascolta le mie richieste?

Chi ha avuto modo di leggere le vecchie puntate di questa rubrica sa che una delle cose sulle quali ho maggiormente insistito è la dimensione concreta della fede cristiana. Perciò, dal punto di vista del serpente prudente la domanda poggia su un presupposto sbagliato e su una sostanziale confusione di ruoli. Ma procediamo con ordine.

Molto spesso, per non dire sempre, il “comportarsi bene”, che tanti ritengono essere il loro modo di vita, è in realtà una semplice assenza di azioni dichiaratamente negative. Un po’ una cosa del tipo: “Io non rubo, non uccido, non pronuncio il nome di Dio invano, quindi mi comporto bene”. Insomma, il bene che tanti sono convinti di fare consiste sostanzialmente in un “non fare il male”. Il che è solo una parte della verità.

Infatti, il bene che si dovrebbe compiere non può limitarsi ad un non comportarsi male. Sarebbe estremamente semplice e di fondo assomiglia tanto al comportamento di colui che ricevuti i talenti li va a sotterrare anziché ad investirli. Se rileggiamo attentamente quella parabola, colui che riceve i talenti e li sotterra, in effetti, non commette alcuna azione malvagia. Tuttavia, quando il padrone ritorna lo punisce proprio per il suo “non fare”.

Quindi: punto numero uno, fare del bene vuol dire agire, porre in essere un comportamento concreto e materiale.

Sul cosa fare, questa rubrica si è abbondantemente dilungata in numerose puntate, e non mi pare il caso di richiamare concetti già espressi. Diciamo solo che l’azione richiesta non è un’azione nell’ottica umana, bensì nell’ottica di una fedele adesione al progetto e alla volontà di Dio.

Bene, a questo punto la domanda diventerebbe: “se io compio la volontà di Dio, perché non mi succedono cose buone o Dio non esaudisce le mie richieste?”.

Tuttavia, anche in questo caso la questione è mal posta, perché poggia su una duplice disattenzione al dettato evangelico.

La prima: Gesù (tanto in Matteo quanto in Giovanni) dice «Qualunque cosa chederete nel mio nome, avendo fede, il Padre ve la darà». Sull’“avendo fede” rinvio alle puntante in merito.

Agostino d’Ippona poneva l’accento sul “nel mio nome”. Il nome di Gesù gli viene imposto (Mt, 1,21) «perché salverà il suo popolo dai loro peccati». Perciò solo chi chiede qualcosa riguardante la salvezza chiede nel nome di Cristo. Il che esclude tutte le richieste di vincita alla lotteria, ma anche tutte le richieste di salvare la vita di un innocente malato. Non caso, anche Giacomo scrive nella sua Lettera (4,3): «Chiedete e non ottenete, perché chiedete male».

Del resto chiedere di essere esauditi in un desiderio (fosse pure sorretto dalla più candida e sincera delle intenzioni), a fronte dell’aver fatto qualcosa di buono, sa tanto di do ut des, il che è fuori dalla logica divina (e in certi casi anche da quella umana). Tanto è vero che Gesù precisa che “il Padre ve la darà”, con il verbo è al futuro e non al presente, la qual cosa lascia intendere che il desiderio, osservate tutte le condizioni del caso, verrà esaudito in un tempo futuro.

E qui bisogna introdurre la seconda disattenzione. Nel dodicesimo capitolo di Luca, Gesù, dopo aver ammonito i suoi allocutori sul fatto di non preoccuparsi di ciò che mangeranno o di cosa indosseranno, li invita al cercare il Regno di Dio e tutto il resto verrà in aggiunta dato loro. Poi dice al versetto 33: «fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma».

Ne deduco che le “buone azioni” che si compiono in questa vita non hanno una finalità per questa vita. In altre parole, il bene che si compie non può essere merce di scambio da investire per ottenere l’esaudimento di una preghiera o di una richiesta. Bensì hanno valore solo nell’ottica futura di un tesoro inesauribile nei cieli.

Qualcuno potrebbe dire: “però molti che pregano Padre Pio ottengono la guarigione di qualche caro congiunto”. Sì, è vero. Ma questo non accade perché chi ha pregato e ottenuto sia stato più bravo di chi ha pregato e non ha ottenuto. Accade semplicemente perché la volontà di Dio e i suoi piani sono assolutamente imperscrutabili, e se Egli ha deciso in tal modo, non c’è spiegazione razionale che tenga. Non a caso, si parla di miracolo, proprio perché esce da una logica razionale.

Del resto, tutto il meccanismo della preghiera e dell’esaudimento ha un fine che è ben dichiarato nel vangelo: «perché il Padre sia glorificato nel Figlio», e non perché l’uomo sia accontentato nella sua richiesta.

Vincenzo Ruggiero Perrino

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Serata di beneficenza al castello Boncompagni-Viscogliosi ad Isola del Liri

Aprendo il programma della serata al castello si legge “Grazie,per aver sostenuto l’Associazione Heal, e il nostro  progetto #AccorciamoLeDistanze”.

La serata si è tenuta il 22 giugno con l’evento ”LiriCa”, e grazie al prezioso sostegno di tutti i partecipanti, i fondi raccolti sono stati devoluti al progetto #AccorciamoLeDistanze.

Il progetto, ideato dal comitato scientifico ”HEAL”,  prevede la creazione di un portale che avrà la funzione di gestire in ”telemedicina”, alcuni aspetti della malattia neuro-oncologica a distanza, cioè il più vicino possibile al domicilio dei piccoli malati. Tutto ciò, permetterebbe ai piccoli pazienti del reparto oncologico del Bambin Gesù, di curarsi praticamente a casa, e spostarsi solo in caso di vera necessità, evitando viaggi così stressanti per tutta la famiglia, per non parlare del minor costo economico.

I reparti di Oncologia degli ospedali di Sora e Frosinone, con le associazioni ”NUOVA MENTE” e ”IRIS”, collaborano con l’ Ospedale Bambin Gesù, fin dalla nascita di questo progetto.

Grazie alla Famiglia Viscogliosi, il meraviglioso spettacolo si è potuto svolgere in una location a dir poco suggestiva, nel bellissimo Castello Boncompagni-Viscogliosi, nel Salone delle Rondinelle, i quali affreschi rappresentano tutti i territori posti sotto il dominio del Ducato di Sora ai tempi di Giacomo Boncompagni e Costanza Sforza.

La serata è stata presentata da Piergiorgio Sperduti e i protagonisti sono stati dei veri talenti, a partire dal Maestro Sandro Gemmiti, che ci ha deliziati con le note del suo pianoforte, e poi Maria Katzarava e Rocio Tamez, entrambe ci hanno regalato un repertorio lirico a dir poco favoloso, con assoli e duetti.

Si ringraziano per il Patrocinio la Pro Loco di Isola del Liri e l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.

Gianna Reale

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Il Serpente Prudente – Il tempo della fede

n. 34 (19/06/2017)

“Il tempo della fede”

Chi ha modo di seguire costantemente le puntate di questa rubrica avrà avuto modo di notare alcuni punti chiave del discorso. In particolare ho cercato di insistere sul fatto che il senso della fede cristiana – cioè proprio della parola “fede” – è qualcosa di diverso da quello che comunemente gli viene attribuito, e cioè quello di “affidamento” o “fiducia”. Ho cercato di spiegare, basandomi sulla mia (modesta) conoscenza della Parola, che un punto su cui Gesù insiste particolarmente è il “fare”, e quindi una dimensione concreta e tangibile della fede.

Da questa considerazione iniziale sono poi venute le riflessioni sul “cosa” fare (cioè il comportamento del giusto e autentico cristiano, che ho tentato di riassumere nelle puntate dedicate alle esortazioni quaresimali al digiuno, all’elemosina e alla preghiera) e sull’importanza di una scelta di sostanza (e quindi di responsabilità), più che di carattere formale (e quindi di attribuzione della responsabilità al solo Dio).

Infine, un paio di puntate sono state dedicate alle figure che il cristiano dovrebbe avere a riferimento e a modello della sua condotta, e cioè la Madonna e i santi, oggetto troppo spesso di un’idolatria, che non serve a nulla se non ad arricchire astuti speculatori.

Tutto questo “vivere autenticamente la fede” fin qui delineato deve essere necessariamente iscritto in una coordinata imprescindibile: il tempo. Potrebbe sembrare una considerazione oziosa, e invece non lo è. Tanti, forti di un’equivocatissima interpretazione della misericordia divina, sono convinti che fino all’ultimo secondo della propria vita possano redimersi e volare direttamente in paradiso.

Che poi è un po’ quello che sembra essere successo al cosiddetto buon ladrone: una vita di ruberie e furti vari, tanto da finire in croce – è bene avvertire che la crocifissione, il supplicium servile, era la morte a cui andavano incontro schiavi fraudolenti verso i padroni e gentaglia dedita appunto a rapine e furti – e poi una parolina buona spesa in croce e il paradiso è assicurato. Tant’è che l’ironia popolare ha spesso indicato in quest’azione un ultimo incredibile furto, appunto quello della salvezza eterna.

Io mi permetto di pensare che le cose stiano un tantino diversamente. Fermo restando che nella sua onnipotenza Dio può tutto, e quindi anche salvare il più infimo dei peccatori che nell’ultimo istante della sua vita mostri un minimo cedimento alla sua corazza di turpitudine, mi pare abbastanza fanciullesco pensare che Dio chiuda gli occhi su una vita di nefandezze, e, in virtù della sua misericordia, si accontenti di un gesto estremo di conversione.

Anche perché la conversione è qualcosa che deve accompagnare la vita dell’uomo, non chiuderla. Sarebbe praticamente perfetto: faccio quello che mi pare e piace, poi dieci minuti prima di morire mi converto; Dio si accontenta; mi perdona e io volo nell’alto dei cieli. Questo schemino presuppone la completa deresponsabilizzazione dell’uomo e una sorta di ingenua condiscendenza divina!

Invece, che le cose stiano diversamente Gesù lo spiega piuttosto inequivocabilmente in almeno due episodi.

Il primo è quello della parabola della cosiddetta “pecorella smarrita”, che ben chiarisce, nel rapporto uomo-Dio, quale sia il ruolo di quest’ultimo. È chiarissimo che Dio è disposto a mettersi a cercare la pecora smarrita, a fare notte finché non la trova. Ed è altrettanto evidente che gli è possibile trovarla a condizione che quella si lasci trovare. Se la pecora si fosse andata a nascondere in qualche posto sperduto e inaccessibile, il pastore sarebbe tornato indietro lasciandola al suo destino.

Quindi: Dio cerca l’uomo anche “a tempo indeterminato” (che certo non può essere “dieci minuti prima di morire”), ma l’uomo deve essere disponibile a farsi trovare, cioè almeno a comprendere il valore della parola e della fede, e a sforzarsi di viverla coerentemente.

Il secondo episodio è quello dell’adultera che stanno per lapidare e che Gesù salva con la fulminante battuta “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, che invece del rapporto uomo-Dio, chiarisce il ruolo dell’uomo. Normalmente l’esegesi anche domenicale si ferma appunto a questa frase di indubbia presa. In realtà l’episodio si conclude con l’ammonimento alla donna: “vai e non peccare più”.

Quindi: Dio perdona la colpa, ma l’uomo non deve per questo sentirsi autorizzato a sbagliare “a tempo indeterminato”, perché tanto “poi Dio,che è misericordioso, mi assolve sempre”…

Le stesse vite di tanti santi testimoniano un passato di negligenze di varia gravità. Tuttavia, una volta imboccata la strada della conversione (cioè di vivere autenticamente la fede di cui ho parlato altre volte), non l’hanno abbandonata più. E vivendo una fede autentica, anche gli errori diventano occasioni di prova della fede, piuttosto che veri e propri peccati.

Un quadro del genere sconsiglia vivamente di aspettare l’ultimo momento della vita per pentirsi e avere il perdono, considerando che la fede si vive nel tempo presente della quotidianità, e non a conclusione di essa. Bisogna pensare che Dio è misericordioso, mica un fessacchiotto che crede ad un pentimento in extremis! Se Gesù promette il paradiso al buon ladrone non è perché quello, vistosi in croce, ha calato l’asso del pentimento dalla manica; piuttosto è da credere che già durante la vita abbia avuto sempre remore nel fare ciò che magari l’indigenza lo costringeva a fare (ricordate che la crocifissione era la pena dei reietti della società).

Come avrete notato, dall’inizio di giugno Il serpente prudente ha cambiato periodicità. Infatti, per tutti i mesi estivi – e quindi fino alla metà di settembre – la rubrica, pur pubblicata sempre di lunedì, avrà cadenza bisettimanale. Perciò, arrivederci a tra quindici giorni!

Vincenzo Ruggiero Perrino